Fabrizio Rondolino è un collezionista. Non lo ha mai detto troppo in giro, ma nell'anima più profonda della sua casa c'è una stanza dove potresti addormentarti con la voce stanca di uno Zingaretti e risvegliarti in una versione italiana di Good Bye, Lenin!.
Rondolino colleziona cose. Non cose qualunque, ma pezzi di Pci. Frammenti di anima: tessere, spille, manifesti elettorali, pagine di giornali, medaglie, copertine di riviste, coccarde, poster, propaganda, piccoli spazi pubblicità. È come se ognuno di questi oggetti, di carta o di metallo, fosse un horcrux dove si nasconde il tempo perduto del partito comunista. Gli horcrux nel mondo dei maghi servono a custodire l'immortalità, anche se ormai non ci credi più o se non rinneghi e non rimpiangi, se non ritrovi la tua chiesa e vivi in campagna lontano dal rumore della politica. Quel museo domestico sta lì e poi un giorno, a cento anni dalla scissione di Livorno, pensi che valga la pena di farne un libro. Eccolo. Il nostro Pci (Rizzoli, pagg. 445, euro 23). Il risultato è un racconto per immagini.
La prima tessera di Rondolino è del 1977. Insieme a lui ci sono un milione e ottocentoquattordici mila e centocinquantatre compagni (1.814.153). Il primo maggio andrà alla festa dei lavoratori, delle donne e dei giovani disoccupati. Il manifesto è un fiore rosso stilizzato. È l'ultima volta che il Pci utilizza l'immagine del garofano. Diventerà il simbolo ufficiale del Psi craxiano. I lavoratori di tutto il mondo non sono più uniti.
L'anno prima, a pochi giorni dalle elezioni del 1976, sulla copertina di Time c'è la faccia di Enrico Berlinguer. Lo sfondo è vermiglio e sul titolo bianco c'è scritto: The red threat. La minaccia rossa ha il volto di un nobiluomo sardo. Alla Camera il partito prenderà più di dodici milioni e mezzo di voti. Per il Pci è il migliore risultato elettorale di sempre.
Il partito per Rondolino è una comunità sentimentale. È una grande famiglia capace di badare a se stessa, rassicurante e protettiva, con una forte consapevolezza di sé. È qui che trova radici la pretesa superiorità morale dei comunisti, la «diversità berlingueriana». È l'idea che il futuro è già marxianamente scritto e loro sono i prescelti, i migliori. «Mi piaceva sentirmi dalla parte giusta della storia e militare in un partito la cui direzione nazionale aveva, al piano terra, una libreria; e detestavo l'estremismo, le urla, la violenza di piazza, l'intolleranza. Del resto, ero un borghese».
La collezione di Rondolino è monumentale e non parte certo dal '77. Comincia con una tessera verde del Partito socialista italiano, rilasciata il 16 dicembre 1899 (sette anni dopo la fondazione) dalla sezione di Torino. Si chiude con una cartolina commemorativa del congresso di Rimini del 31 gennaio 1991. È l'ultimo atto del Pci. Il nuovo simbolo è una quercia verde, con la scritta rossa «Partito democratico della sinistra» e la falce e martello alla base. In basso si legge: «il coraggio di cambiare». Qualcuno potrebbe aggiungere «troppo tardi».
In mezzo tra queste due date c'è il sale del Novecento. È davvero come leggere un romanzo dove ogni pezzo ti racconta una storia. Ti trascina nel suo flusso anche se non ne hai mai fatto parte. Ti appare un distintivo in metallo smaltato degli Arditi del Popolo, l'organizzazione paramilitare dei veterani «rossi» della Grande guerra. Sono anarchici, socialisti massimalisti e comunisti e ottengono il riconoscimento del Comintern. Il simbolo è un teschio con il pugnale tra i denti. Le orbite degli occhi e la lama sono rosso sangue.
C'è la prima tessera della federazione giovanile comunista d'Italia. È del 1922, con l'immagine di un giovane a torso nudo che galleggia su un libro aperto. È l'unica tessera nella storia del Pci con un riferimento a Karl Marx.
C'è la prima pagina di un opuscolo del 1944 che annuncia i discorsi di Palmiro Togliatti e Pietro Nenni allo stadio del Palatino di Roma. Sulla foto una scritta: «viva la rivoluzione d'ottobre». C'è la copertina di un fumetto del 1956. È la storia d'amore di una giovane coppia che sogna un futuro migliore. Il titolo: «Più forte del destino».
Scrive Rondolino: «Di questa grande comunità umana e politica i simboli più amati erano la bandiera e la tessera. Ma se la bandiera è un simbolo collettivo da appendere sulla porta della sezione o da sventolare nelle piazze, la tessera ha qualcosa di più intimo e personale: è un pezzo unico, perché porta inscritto il proprio nome».
C'è un manifesto del 1974 per le elezioni regionali sarde. La bandiera americana, il profilo dell'isola e lo slogan: «la Sardegna non è una stella Usa». In basso: «fuori la Nato dal Mediterraneo». Non erano atlantisti.
È negli anni '80 che il rosso scopre un po' di verde, Mosca si allontana e l'Europa si avvicina. C'è un manifesto del 1990 che sembra una profezia: «Hai idee per la sinistra? Non tenerle per te». In pochi avranno risposto o non sono stati ascoltati.
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