Dopo Mario Martone c'è un altro regista che torna in concorso al festival di Venezia per il secondo anno di fila, è il francese Olivier Assayas che, messa da parte la commedia sofisticata e leggera Il gioco delle coppie della scorsa edizione, cambia totalmente genere e registro per raccontare in Wasp Network la storia delle spie della cosiddetta Rete delle vespe ispirandosi al libro The Last Soldiers of the Cold War di Fernando Morais, scrittore ed ex parlamentare brasiliano. Olivier Assayas nel 2010 aveva diretto la bella miniserie Carlos i cui echi, alla lontana, arrivano anche dentro questo film che racconta le vicende degli agenti segreti di Fidel Castro infiltrati nella comunità degli esiliati cubani a Miami e in Florida. E, in particolare, di quelli che sono diventati famosi come «I cinque eroi cubani», arrestati dall'Fbi, processati nel 2001 e condannati a pene ritenute molto severe come spie, per essere infine liberati dagli Stati Uniti nel 2014.
Per il regista «oggi la distanza storica permette di discutere, senza farsi ingannare dalle maschere dell'ideologia ma certo non con distacco bensì con la libertà e il rigore di un'analisi magnanima, dei conflitti della Guerra fredda che hanno definito la mia generazione e delineato i contorni del presente». Con un'avvertenza: «Le ceneri sono ancora accese e ci si può facilmente bruciare». Un rischio che il film corre perché non è per nulla semplice ridurre in 120 minuti, in cui troviamo anche Penélope Cruz moglie inconsapevole di una spia castrista che molla lei e la figlia per andare a Miami, una vicenda così complessa come quella dello spionaggio e controspionaggio tra Cuba e gli Stati Uniti d'America. Così il quadro che Assayas compone rischia di essere piuttosto riduttivo nel non poter rendere conto della portata di un regime totalitario come è stato quello di Fidel Castro che appare, in un'intervista dell'epoca, come una vittima, come spesso è accaduto, anche al cinema (Oliver Stone ha dedicato due film a Castro).
In quest'ottica il film spinge a simpatizzare con le spie cubane mandate a Miami per scoprire in anticipo i piani, anche terroristici (in un attentato alle strutture alberghiere morì un italiano), degli anticastristi. Perché naturalmente le condizioni della popolazione cubana non vengono mostrate, l'antiamericanismo dei Castro nemmeno, tanto meno si parla degli oltre 600mila cubani che negli anni '90 scapparono da Cuba con ogni mezzo nautico, spesso zattere (le balsas), spesso perdendo la vita. Immigrati che a differenza di quelli delle ondate migratorie storiche post rivoluzione castrista, sempre aiutate dai governi americani (a partire dal presidente Lyndon Johnson nel 1966), facevano parte soprattutto delle classi più basse.
La parte più interessante di Wasp Network rimane però quella che riesce a far intuire come la propaganda cubana, in nome della rivoluzione castrista, sia riuscita a spingere
degli uomini a lasciare per anni le famiglie, spesso inconsapevoli, per effettuare attività di spionaggio negli Stati Uniti passando pure per traditori, seppur temporanei, della patria. La cara vecchia forza delle ideologie.
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