"Rabbia, magia e voce. La musica estrema non è solo nichilismo"

Parla il cantante che da trent'anni ha legato il suo nome a tanti progetti anticonformisti

"Rabbia, magia e voce. La musica estrema non è solo nichilismo"

Bolzano. Riassumere in poche righe la biografia di Attila Csihar è impossibile. Diremo innanzi tutto che Attila, negli ultimi trent'anni, ha dato la voce a una quantità incredibile di progetti musicali estremi che spaziano in ogni genere, dal Metal alla contemporanea. Per il resto, andremo per sommi capi, rapidamente: nasce a Budapest nel 1971. Al tramonto del comunismo, fa il suo esordio con la band Tormentor, che suona un genere di Heavy Metal ancora senza nome. Presto assumerà quello di Black Metal, per le tematiche sataniste, horror, pagane. Nel 1992-1993 entra nel gruppo norvegese dei Mayhem, le prime leggende del Black Metal. Finisce male. Per motivi mai davvero chiariti, il bassista Varg Vikernes, noto anche come Burzum, uccide il leader e chitarrista Euronymous. I Mayhem esistono comunque ancora oggi. Da qui in avanti, Attila presta la voce a numerose band all'avanguardia, dai Sunn O))) agli italiani Aborym. Quando si ascolta Attila, si rimane stupefatti da quanti suoni si possano tirare fuori da un corpo solo. Attila passa dall'opera al vaudeville fino al growl, l'infernale rantolo del Metal senza compromessi. Il suo nuovo progetto si chiama Oozing Earth, ed è stato presentato a Bolzano mercoledì sera nell'ambito del festival Transart (vedi scheda). Composta da Bernhard Gander, la suite prevede la fusione di Metal e musica contemporanea. Nell'Apocalisse che va in scena, a risuonare non sono le trombe degli angeli, ma la voce di Attila Csihar, la batteria di Flo Mounier, altro protagonista d'eccezione della scena Metal, e lo straordinario talento dei musicisti di Ensemble Modern. E proprio dallo spettacolo Oozing Earth incomincia la chiacchierata con Attila, davanti a un caffè, in un albergo di Bolzano.

Cos'è Oozing Earth e come si è trovato coinvolto?

«Qualche anno fa, ho conosciuto Bernhard Gander, il compositore di Oozing Earth. Siamo diventati amici e abbiamo capito di avere idee simili. Lui ha composto questa magnifica suite, io ho dato qualche consiglio e soprattutto lavorato ai testi. C'è voluto un anno, tutto il 2019. Gander ha poi coinvolto l'Ensemble Modern».

E musicalmente...

«L'idea era creare musica fondata su codici sonori e linguistici apparentemente inconciliabili, quali sono quelli del Metal e della musica classica contemporanea. Molte Metal band si danno un tocco di classicità sovrapponendo elementi sinfonici alle loro composizioni. Qui le cose sono diverse: abbiamo puntato a una fusione totale, per realizzare qualcosa di nuovo. In Oozing Earth ci sono anche l'elettronica e la musica d'ambiente. Per me è il massimo, vedo tutte le mie anime musicali realizzate in un solo progetto».

Oozing Earth ha a che vedere con la Apocalisse e gli ultimi giorni dell'umanità?

«Sì. È sembrata attuale durante la pandemia. Ma ora lo è anche di più. Paradossalmente è la celebrazione del ritorno alla vita e alla musica dal vivo».

Il Black Metal è nato con una attitudine sporca e a volte rozza. Eppure, Lei e altri maestri del genere avete virato verso l'avanguardia. Come mai?

«Io vengo dall'underground, dai Tormentor, il mio gruppo ungherese. Il Black Metal era un passo avanti, come estremismo. I Mayhem sono tuttora un grosso nome ma non ho mai smesso di essere curioso verso le altre scene. Ho ascoltato molta musica industriale, come Skinny Puppy o Frontline Assembly. Ho anche studiato con maestri di formazione classica. Sono andato in tour con la cantante Diamanda Galas. Musicisti di ogni genere sono venuti ad ascoltarmi, e ogni incontro è motivo di reciproca curiosità artistica. Amo sperimentare perché amo imparare, imparare, imparare. Per questo collaboro con molti artisti, anche lontani dal Metal».

Il Black Metal ha testi spesso blasfemi e violenti, talvolta horror. È un genere nichilistico?

«Per quel che mi riguarda, direi di no. Anche se altri musicisti Black ti risponderebbero il contrario. Può essere che io sia considerato estremo per la mia musica e per il mio modo di pensare. In realtà io voglio osservare anche l'altro lato della medaglia. Tutto sembra in pace e a posto? Io voglio vedere anche quello che non va. Devo capire se c'è qualcosa da imparare anche nel lato oscuro. Anche quando tutto è perduto e malvagio, ci sarà qualcosa di interessante in grado forse di cambiare le cose».

La cultura pop di massa può essere considerata nichilistica?

«Lì è tutto narcisismo, denaro, numeri di vendita. Ci sei solo tu. Il resto non esiste o comunque non conta. La facciata è perbene poi dietro le quinte ne succedono di tutti i colori. Sì, questa è una visione nichilista del mondo. Mi è capitato di trovarmi in situazioni simili. I musicisti avevano un'idea. I manager facevano di tutto per rovinarla. Ci sono buoni progetti, va bene se guadagnano. Io ho interpretato Caifa nel Jesus Christ Superstar ungherese. Ma io penso che l'arte fatta per guadagnare alla lunga si riveli per quello che è: una schifezza».

Qual è stato il suo primo impatto con i Mayhem?

«Avevo un gruppo, i Tormentor, in Ungheria. Avevamo pronto un disco, Anno domini, ma siamo stati costretti a rinviare l'uscita. Nel frattempo vengo chiamato da questa band di norvegesi. Non sapevo chi fossero e non ero mai stato nel loro Paese. Euronymous, il chitarrista, voleva pubblicare i Tormentor sulla sua etichetta. Varg Vikernes, il bassista, era interessato a un altro mio gruppo, Plasma Pool, che faceva musica elettronica. Mi trovai nella band. Avevo sentito un loro mini-album, Deathcrush, e non mi aveva impressionato per niente. Ma quando arrivai in Norvegia e mi fecero sentire i provini del nuovo album rimasi sbalordito. Erano diventati un altro gruppo, straordinario per cattiveria. Erano la punta più avanzata del Metal. Così incidemmo De Mysteriis Dom Sathanas. Uscì nel 1994 e diventò un classico».

Poco prima dell'uscita, Varg uccise Euronymous. Il finale tragico era prevedibile?

«No, non lo era. Non so che dire... Euronymous e Varg erano entrambi miei amici».

Le tue performance sono estreme. Quanto di quel che vediamo è rabbia vera? E quanto invece è puro spettacolo?

«Mi sono esibito molte volte eppure mi è sempre rimasta la paura di fare il primo passo sul palco. Mi domando sempre se sarò all'altezza. Quando arrivo al microfono scatta la magia. La rabbia è una scarica di adrenalina che serve a spezzare l'emozione e superare i timori. Poi mi concentro sul pubblico.

La parte di spettacolo ha uno scopo molto semplice anche se non sempre è facile da ottenere: fare in modo che gli spettatori vivano una grande esperienza. Quando va bene, dalla platea si alza un'altra incredibile ondata di energia».

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