Il regista: «È un uomo che intriga»

E Favino stempera le polemiche: «Tutta colpa dei social»

Stefano Giani

Cannes

«La mafia è un mondo che non mi appartiene. Sono nato e cresciuto a Piacenza, una tranquilla città del Nord. Gli agguati dei sicari erano lontani perfino dalle ipotesi». Quella di Marco Bellocchio con Cannes e il mondo dell'onorata società è una scommessa al buio. «Mi intrigava la figura di Buscetta, un Traditore che non si è mai sentito tale perché il primo a essere tradito si è ritenuto lui stesso». Il regista non lo ha definito un biopic ma «il racconto di un personaggio con una vita molto articolata. Il compito più complicato è stato quello di selezionare i tratti salienti della sua carriera criminosa, in due ore e mezza, senza fare sconti sulla statura del protagonista». Poche le concessioni all'ambientazione e ai campi lunghi, allora. «È pura recitazione. D'altra parte, il boss aveva registri diversi nel linguaggio. Non parlava soltanto ai magistrati come Falcone. Durante i processi gesticolava e alternava tratti dialettali con i quali spediva messaggi anche all'esterno», ha spiegato Bellocchio. Il traditore è stato preceduto da una valanga di polemiche, e Pierfrancesco Favino, che interpreta Buscetta, ha minimizzato. «Con Giovanni Montinaro abbiamo avuto uno scambio di opinioni civilissimo. Ci siamo parlati anche in privato e lo ho tranquillizzato sul fatto che non si è trattato di un'operazione pretestuosa. Lui ha capito». La colpa forse sta tutta nell'uso bulimico di Instagram. «Al pubblico vorrei allargare l'invito a non guardare sempre il lato brutto dei nostri giorni.

Si rischia di ingigantire ciò che non esiste come in questo caso», ha aggiunto l'attore romano. Immancabile la domanda sullo stato di salute del cinema italiano. Risposta di Bellocchio: «Boh, chiedetelo alle nuove leve. A me interessa solo continuare a fare qualche bel film».

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