Regina della canzone italiana lo sarà per sempre anche se lei diceva di preferire la repubblica alla monarchia. Adionilla Pizzi, per tutti Nilla, ha avuto un ruolo così importante nella storia della musica leggera che gli amici intimi, a più riprese, le suggerirono di scrivere un libro di memorie. Dopo un po' di tentennamenti, nel 2002 sciolse le riserve. Decise di rivelare i passaggi più interessanti della sua vita all'amico e collaboratore Italo Pozzi. Coadiuvato dal giornalista Giuliano Musi, Pozzi si è adoperato per trarne un libro, intitolato Nilla Pizzi. Storia di un sogno (Ed.Minerva). Il volume, prima biografia completa dedicata alla cantante, è perlopiù uno scritto autobiografico.
Ciò che contraddistingueva Nilla, sin da allora, era la fermezza d'intenti: sognava il traguardo del successo al punto che mentre le coetanee si accontentavano dei dolciumi, lei già pensava alle casse di champagne che avrebbe scolato una volta conseguita la popolarità. Quel sogno continuò a coltivarlo. Ironia della sorte, da ragazzina venne assunta alla Ducati come collaudatrice di apparecchi radiofonici: di giorno collaudava e la sera, tornata a casa, ascoltava in radio gli idoli musicali dell'epoca, nella segreta speranza di raggiungere la loro fama.
Il destino le venne poi incontro: dalle serate di provincia approdata all'Eiar divenne una voce ufficiale della radio. Seguita dal maestro Cinico Angelini, con il quale intrattenne pure una burrascosa relazione sentimentale, crebbe talmente tanto da trionfare a Sanremo, quando Sanremo non era ancora Sanremo. Il mito della kermesse sanremese nacque appunto con Nilla Pizzi, coi di lei brani Grazie dei fiori, Vola colomba, Papaveri e papere, spalmati nelle prime due edizioni del Festival. Un trionfo, al quale fecero seguito i prevedibili malumori di chi voleva interrompere la favola della ragazza venuta dal nulla. Quando, alla terza edizione del concorso, da concorrente si limitò a un secondo posto, la stampa commentò l'accaduto con frasi del tipo «il mito è crollato!».
Non si lasciò intimorire dall'avvento degli urlatori, mentre sul versante della vita privata, reggeva bene il colpo delle tante disavventure amorose, dalla rottura traumatica con Angelini all'indole possessiva di Gino Latilla, il quale roso dalla gelosia arrivò a ricattarla emotivamente, facendo finta di essersi avvelenato. Ad aiutarla nei percorsi di risalita, la sua infinita curiosità intellettuale. Ad esempio nella recitazione, con maestri del calibro di Mauro Bolognini e Alberto Lattuada oppure, sul versante più leggero, col Quartetto Cetra in una spassosa parodia dei Tre moschettieri. Se come attrice non riuscì a sfondare, con la musica seppe ottenereil plauso degli intellettuali, da Zeffirelli il quale benedisse la circostanza casuale del loro incontro, a Leonida Repaci che la definì «Signora della canzone, senza servilismi all'urlato che si andava affermando».
Conformemente alla sua natura ottimista, credeva nel paranormale ma solo se il paranormale mostrava un risvolto positivo: ai maghi che le predicevano disgrazie aeree non dava retta, in compenso credeva fermamente di avere udito, durante una seduta spiritica, la voce di suo padre che preconizzava un suo ritorno a Sanremo in grande spolvero. Era genuina, e questa sua genuinità si rifletteva nella voce.
Mina al riguardo, in occasione del novantesimo compleanno dell'artista, scrisse: «Ho imparato molto dalla tua voce, ed è giusto ammetterlo, finalmente». Ora che questo libro è stato pubblicato, la Regina ha ricevuto quell'ultimo tributo che le mancava. E che meritava.
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