Sanremo - E, finalmente, il tema della bellezza è una bellezza. Ci aveva provato tutta la settimana, Fazio, a trattare l'argomento in vari modi, ma aveva finito solo con l'annoiare. Poi è arrivato nell'ultima serata il ciclone Crozza che ha trasformato il filone nell'unico momento esilarante del Festival. Lasciata per ultima l'imitazione di Renzi, che forse gli è parsa troppo scontata nel giorno del giuramento del nuovo governo, Crozza ha fatto un lungo viaggio tra le bellezze del nostro Paese. Prendendo spunto da come ci vedono (male) in Europa, e soprattutto da come ci vedono male i tedeschi, ha ricordato tutto quanto hanno inventato gli italiani: «In Europa ci considerano i cugini scemi, ma senza di noi andrebbero ancora in bicicletta, suonerebbero sui tamburi e dipingerebbero con i würstel».
E già, «è vero che continuiamo a oscillare tra bellezza e disastro (lo dice mentre dietro a lui scorre un'immagine del treno deragliato in Liguria e della Torre di Pisa, ndr), però basta poco per migliorare». E giù con una carrellata di esempi: da Michelangelo a Giotto, da Volta a Meucci, fino alle invenzioni del pianoforte, del motore a scoppio, delle note, dello spartito, fino al computer e all'alta velocità. Certo le cose da migliorare ci sono. Come Carlo Giovanardi, che non «appartiene allo stesso ceppo evolutivo di Michelangelo che era omosessuale, mentre lui ce l'ha con gli omosessuali e vuole solo la famiglia tradizionale», o come John Elkann che «ha detto una grossa cazzata sui giovani che non lavorano perché vogliono stare a casa e invece lui lavora solo perché ha ereditato la Fiat dal nonno»... Nell'excursus storico Crozza ha infilato un rapido accenno a Beppe Grillo: «Noi genovesi abbiamo ceduto la Corsica ai francesi. Poco dopo ci è nato Napoleone», ed è andata bene alla città ligure, perché lì «è nato Beppe Grillo: ci mancava un altro pazzo mitomane che voleva dichiarare guerra all'Europa. Te lo immagini Waterloo in streaming?». E poi via con una presa in giro di Angela Merkel, la cancelliera tedesca che guarda sempre con aria schifata l'Italia, sull'aria del Don Giovanni di Mozart. Insomma un grande intervento, quello di Crozza, che ha fatto riconciliare il pubblico con il Festival e la platea dell'Ariston con Crozza stesso. L'anno scorso qualcuno aveva accolto coi fischi la sua imitazione di Berlusconi; questa volta, ricordando quell'episodio, il comico si è presentato in scena con un grosso scudo con scritto sopra Pace, e ammettendo di sentirsi «come la Kyenge a una festa della Lega». Il pubblico ha riso e tutto è filato via liscio. Pochi dei suoi consueti personaggi, da Razzi a Bossi, sono venuti fuori a sprazzi e poi piccolo finale su Renzie: «non è il successo che ha cambiato me, sono io che ho cambiato il successo»; «non abbasserò il Pil, ma aumenterò il pilates»; «il primo decreto sarà far durare marzo due anni e mezzo» e via esagerando... Dopo Crozza, si è esibito Ligabue, che ha cantato quattro brani, tra cui il singolo Per sempre, tratto dal cd Mondovisione. Standing ovation ma anche un momento di imbarazzo quando Fazio ha provato a farlo parlare del significato dei suoi testi in relazione al tema della bellezza. Ligabue ha accennato la risposta ma si è bloccato: «Stiamo finendo nello spiegone quindi ci fermiamo qui».
Dunque Crozza e Ligabue hanno fatto per un momento dimenticare i momenti brutti di questo Festival e l'arroganza di Fazio che non riesce ad ammettere di non aver imbroccato l'idea giusta. Il massimo che ha concesso all'autocritica è «abbiamo peccato di eclettismo».
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