Rivivere l'eterna giovinezza di Pierre Drieu La Rochelle

Pol Vandromme fu il primo a ripercorrere le vicende dello scrittore francese. Torna il suo testo capolavoro

Rivivere l'eterna giovinezza di Pierre Drieu La Rochelle

Comprendere appieno la nebulosa vicenda di Pierre Drieu La Rochelle, una delle personalità più controverse del Novecento e rimasta per lungo tempo ai margini del riconoscimento pubblico, attraverso la biografia del belga Pol Vandromme, critico letterario e polemista politico, ma soprattutto autore di saggi su Lucien Rebatet, Robert Brasillach, Louis-Ferdinand Céline, Roger Nimier, Charles Maurras, è operazione inusuale ma di certo allettante. Vandromme scrive la biografia (Pierre Drieu La Rochelle, ora riproposta da Oaks edizioni, con la introduzione di Armando Torno) nel 1958, quando era blasfemia il solo pensare di vergare un rigo su Drieu. Nel volume non manca un abbozzo del contesto generale in cui strazianti aporie segnano una intera stagione politica prima che letteraria ma viene ripercorsa l'intera vicenda di Drieu fino al suicidio del 15 marzo del 1945, l'atto conclusivo compiuto a 52 anni, quando rimane inviolato il dilemma di una vie inexplicable.

Per quanto confinato nella sezione dei decadenti, la figura di Drieu è infatti caleidoscopica e sorprendente. Attraversa la Grande guerra e gli anni Venti, incrocia il surrealismo e il nazionalismo. Amico di Aragon, aderisce al dadaismo e salva dal carcere non pochi scrittori, tra i quali Sartre. Per la collaborazione con i tedeschi durante l'occupazione (fu direttore della Nouvelle Revue Française), la sua opera fu marchiata col timbro dell'infamia rimanendo per lungo tempo occultata nei seminterrati più ributtanti della critica letteraria. Al cimitero di Neuilly, al momento della sua sepoltura ci saranno, fra gli altri, Léautaud, Paulhan e Gaston Gallimard.

Se ha un pregio questo volume di Vandromme è quello di servirsi a piene mani di brani tratti dai libri di Drieu, associando il contesto generale a informazioni di carattere personale mai privi di leggerezza aneddotica. Proprio su Sartre, per esempio, riporta un commento di Drieu, sotto la data 10 luglio 1944, e riferito alla piece teatrale A Porte chiuse: «È fatta a trompe- l'oeil, è un pezzo di scatola di sardine incollata sulla tela come un quadro di Picasso. Non si tratta di surrealismo, com'è per ogni materialismo: alla fine si tratta di subrealismo». Ma non mancano chiose su Hemingway («Un vero scrittore è un uomo che conosce delle cose e che le conosce troppo per poterne parlare, per cui scrive»), su Henry de Montherlant («Puttana quanto ognuno di noi, sfoggia i suoi meriti come belletti. Si tratta tuttavia dei suoi colori naturali») o su Céline «ha il senso della salute. Non è colpa sua se il senso della salute lo obbliga a vedere e a mettere in luce tutta la sua purulenza dell'uomo del nostro tempo».

Come si intuisce dai ricordi di Récit secret, l'idea persistente è quella del suicidio. Questo suo schierarsi su un fronte ben definito, sin dall'infanzia, dall'età di sei o sette anni, e pensare già ad un termine ultimo per l'esistenza è allo stesso tempo ossessione ma anche via d'uscita che sembra poterlo affrancare dal peso della quotidianità.

Anche nei racconti brevi la fascinazione di morte non appare come veste puramente narrativa. L'autodistruzione congiunta al senso dominante della decadenza lo perseguita e connota tanti personaggi come in Fuoco fatuo. Il suo essere costantemente dalla parte sbagliata lo porta a perseverare in una coerenza dilaniante e da lì a cercare un annientamento su cui si era, però, da sempre esercitato. Nell'agosto del 1944, prima di un tentato suicidio, uno dei due che precedettero quello definitivo, così scrive al fratello: «Reputo quindi una fortuna poter mescolare il mio sangue all'inchiostro e rendere seria da ogni punto di vista la funzione dello scrivere».

Ma Drieu non si abbandona ad un nichilismo senza via d'uscita. La decadenza, che è certamente il filo conduttore che tutto tiene, non è un richiamo monocorde. Non lo è nella struttura e forma stilistica delle sue opere che sono diverse e plasmabili rispetto alle circostanze che si apprestano a descrivere. Per esempio, Fuoco fatuo così come La commedia di Charleroi, sono congegnate su un linguaggio agile, quasi sintetico mentre per Rêveuse bourgeoisie adotta un codice naturalista; in altre opere, invece, lo stile si fa via via più contorto e ampolloso. E non lo è perché non si tira indietro di fronte ad una rivolta che può esplicitarsi in mille modi, non solo in quanto milite di una guerra mondiale ma come ribelle che non si astiene da un impegno pubblico e politico di tipo radicale.

Dietro la patina impolverata e piena di fuliggine di uno scrittore decadente, su cui pure molto ha giocato certa critica, c'è invece un intellettuale che si muove in territori pericolosi ma pur sempre ruotando senza sosta intorno allo stesso

asse: «Drieu scrive Vandromme a chiusura del libro ha sempre scritto per i giovani. Ha pensato sempre a loro. È morto per mantenere il giuramento, che aveva fatto da adolescente, di essere sempre fedele alla giovinezza».

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