Venticinque anni prima, quando da giovane medico era tornato nella Romania del dopo-Ceaucescu, Romeo Aldea s'illudeva di poter essere utile al suo Paese. Venticinque anni dopo, sente che non è servito a niente, nulla è cambiato: una democrazia posticcia appiccicata su un corpo sociale e politico dove le amicizie contano più del merito, la logica del do ut des è sovrana, il compromesso e la corruzione sono all'ordine del giorno, la longa manus della polizia continua a esercitare un'occhiuta, minacciosa sorveglianza. All'orizzonte vede profilarsi la pensione, il suo matrimonio è in crisi, sua madre è malata e anche la casa dell'amante non è un'oasi di serenità: un figlio con problemi relazionali, la frustrazione di una relazione da tenere comunque segreta... Per fortuna c'è sua figlia Eliza: per lei si è svenato, lezioni, corsi intensivi, ripetizioni con l'obiettivo di mandarla a studiare all'estero, non farle fare il suo stesso errore di restare intrappolata in patria. La ragazza è brava e si è anche lei convinta che il suo futuro non è lì, anche se lì ci sono i suoi amici, il suo ragazzo, il suo mondo. Ha superato tutti i test per essere ammessa a Cambridge, manca solo la licenza liceale, con un punteggio alto, certo, ma Romeo Aldea è sicuro che ce la farà: si è impegnata tanto, si sono impegnati tanto. Dopo quell'ultimo ostacolo, sarà finalmente libera, e quanto a lui saprà di essere almeno riuscito in una cosa nella vita, saprà di non doversi rimproverare più niente, umiliazioni, compromessi, negazioni di tutto ciò a cui un tempo aveva creduto, l'onestà, la dignità, il no ai soprusi...
Il giorno prima della maturità però Eliza viene aggredita, un tentativo di stupro che la lascia malconcia, confusa e spaventata. Se rinvia le prove d'esame, per Cambridge salta tutto, se decide di presentarsi, con tanto di gesso al braccio, c'è la possibilità di una riuscita mediocre: troppa tensione, troppa emozione. Il futuro rischia di andare in pezzi, a meno che non si decida di ricorrere a metodi del passato rimasti tali e quali nel presente: una spinta, un aiuto interessato, in grado di fare comunque andare bene le prove scritte. Occorre però che la ragazza sia consenziente, gli elaborati sono anonimi e bisogna che lei li renda riconoscibili con un segno convenuto. Solo che alla figlia Romeo Aldea ha sempre inculcato i valori opposti, quelli che erano anche i suoi prima che la vita lo obbligasse a scendere a patti; quelli che giustificano il perché Eliza dalla Romania se ne dovrebbe andare: un Paese vinto, senza prospettive, che si crogiola nell'inganno, dove vanno avanti solo i mediocri, dove non c'è spazio per il valore e l'onestà. Che fare?
Abilmente orchestrato, ben interpretato, Bacalaureat, di Cristian Mungiu, è fra le poche certezze del Festival, meditazione su uno sfacelo nazionale che riesce anche a essere qualcosa di più universale: il rapporto genitori-figli e il tentativo di incarnare in quest'ultimi ciò che i primi non riuscirono a realizzare, il bilancio che si fa quando ci si rende conto che la vita è ormai dietro di noi, lo splendore della giovinezza quando tutto è ancora davanti e ogni cosa sembra ancora possibile. Nella foto-ricordo dell'ultimo giorno di scuola, gli sguardi fieri, allegri e fiduciosi dei ragazzi sembrano sfidare i rimpianti e le amarezze del mondo degli adulti. Non saremo come voi, sembrano dire. Commuovono perché si illudono e perché è giusto che si illudano.
Secondo film romeno in concorso (l'altro è Sieranevada, di Cristi Puiu, anch'esso di livello), ambedue le pellicole rimandano al paradosso di una cinematografia nazionale che fatica in patria a ottenere lo stesso successo che le arride all'estero. Secondo un'inchiesta del mensile Telérama, i film romeni rappresentano il 13% degli incassi rispetto al 36% di quelli europei e al 47% delle produzioni hollywoodiane. Manca la distribuzione, le sale multiplex prendono solo i blockbusters, molti cinema sono stati chiusi perché non in regola con le norme di sicurezza, il sostegno statale è viziato da clientelismi e corruzione. Dice Cristian Mungiu: «Come registi dipendiamo da ciò che all'estero si dice dei nostri film.
Essere premiati da un festival è l'unico modo che ci permette di trovare il denaro per continuare. Noi non possiamo fare altro che cercare di affermare, malgrado tutto, la nostra voce». La sua e quella di Cristi Puiu è di quelle che non si dimenticano.
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