Che paradosso: il poeta impaniato più di tutti nella Storia, quello che ha svolto il ruolo politico più impegnativo nella sarabanda governativa del suo Paese, odiava il greve intellettualismo parigino, non sopportava i letterati e i circoli letterari, la fame bassa dei lirici di corte. «Non vedo futuro in Francia. Non vedo in nessun modo come potrei lavorarci sette o otto ore al giorno. Creperei di noia in questo paese: di noia, di freddo e d'impersonalità. E oggi come oggi preferirei vivere, capite?», scrive, pochi giorni prima del Natale 1910, a Jacques Rivière, leggendario direttore della Nouvelle Revue Française. E poi, qualche mese dopo, ribadendo il concetto in disciplina: «vivo lontano da tutto, con la massima semplicità, con immediatezza e rigore, e con l'unica preoccupazione quando abbia adempiuto ai doveri verso la mia famiglia di precipitare la mia vita in altri eccessi, ed essere azione».
Saint-John Perse, a quell'epoca, compiva 24 anni. Era nato nel 1887, nelle Piccole Antille francesi, nell'isolotto di proprietà paterna, Saint-Léger-les-Feuilles: una certa asprezza, la giungla tra i polmoni, gli era connaturata. Il terremoto del 1897 aveva devastato la fattoria di famiglia: due anni dopo Alexis Saint-Léger Léger questo il nome di battesimo approda in Francia, a Pau. Nel 1911 aveva esordito come poeta: André Gide gli pubblica Éloges, un tributo, in fondo, ingenuo, verticale e audace, alla sua patria oceanica («stringo alleanza con le pietre venate di blu: e lasciatemi lo stesso,/ seduto, nell'amicizia delle mie ginocchia»). Da allora, discepolo e amico di Paul Claudel, comincia per Saint-John Perse una formidabile carriera diplomatica: passa il concorso di ammissione agli Affari esteri, pratica e studia tra l'Inghilterra e Parigi, dal 1916 è inviato a Pechino. Secondo l'agiografia forgiata da se stesso è in un piccolo tempio taoista in rovina, a un giorno da cavallo dalla capitale, che Saint-John Perse, nei momenti di quiete, scrive il suo capolavoro, Anabase, edito nel 1924, ammirato da T.S. Eliot, Rainer Maria Rilke, Hugo von Hofmannsthal. Dopo una lunga spedizione, scrive a Joseph Conrad, nel 1921, come a un confidente: «Negli occhi dei cammellieri incontrati nel deserto del Gobi mi è sembrato qualche volta di sorprendere lo sguardo di un uomo di mare. E ho del resto incrociato, lungo il deserto, carri nomadi che drizzavano una vela come fossero in mezzo all'oceano».
Tornato a Parigi, nominato direttore di Gabinetto di Aristide Briand, il poeta interrompe, per quasi un ventennio, ogni attività letteraria pubblica. In una fotografia, eloquente, lo si vede alle spalle di Mussolini e di Galeazzo Ciano, in centro spicca Adolf Hitler. Il poeta ha gli occhi spiritati: pare fuori luogo, all'assalto, pericoloso. È il 30 settembre del 1938, Saint-John Perse ha accompagnato alla conferenza di Monaco l'allora primo ministro francese Édouard Daladier. Da ciò che dicono i resoconti, fu il solo a ribellarsi a Hitler, a svelarne le mire, fin quasi a venire a pugni. Il Führer tenne a mente il nome del poeta: appena entrati a Parigi, i nazisti saccheggiano la sua casa, al 10 di avenue Camoens, distruggendo una mole di documenti. Il governo di Vichy decreta contro di lui la confisca dei beni; perde la nazionalità francese. Nel frattempo, Saint-John Perse è ospitato da Winston Churchill a Chequers; il 14 luglio del 1940 approda negli Stati Uniti. Per quasi vent'anni, il poeta non ritornerà in Francia: comincia una vita raminga, in perpetuo viaggio, dalle acque di Terranova ai Caraibi, dal Mississippi al Giappone, affascinato dalla fauna degli oceani e dalla geologia dei luoghi estremi. Pubblica libri vertiginosi, aurorali, assoluti Exil (1945), Amers (1957), Chronique (1960). «Tutta la mia opera... si è sempre evoluta al di fuori di uno spazio e di un tempo... essa vuole sfuggire a ogni riferimento storico e geografico», scrive a Roger Caillois nel 1953.
Dedito a una solitudine crudele, a un'aristocrazia barbara, Saint-John Perse parla di Ossessione celeste (così il libro che raccoglie «Lettere, memorie, discorsi» edito da Medusa, pagg. 160, euro 17,50) parlando di Dante, «ritto in mezzo ai venti della storia», paragonando il poeta ai «conquistatori nomadi, signori di uno spazio infinito». Era stato invitato a Firenze per aprire il Congresso internazionale che onorava i settecento anni dalla nascita di Dante. Pochi mesi dopo, era il 1960, Saint-John Perse viene insignito del Nobel per la letteratura; severo, impeccabile, a suo agio di fronte a frotte di uomini non diversi, ai suoi occhi, dagli insetti di cui studiava fogge e ambizioni in ogni angolo del globo ricordò che «è abbastanza per il poeta essere la cattiva coscienza del suo tempo».
L'ossessione celeste è un oblò per spiare la vita, riservatissima, antartica, del poeta più grande del Novecento. Con scrittura sussiegosa, di nobile indifferenza, il poeta parla di Jorge Luis Borges («Eccezionale l'indipendenza dell'opera; eccezionale l'urgenza dell'arte; eccezionale l'integrità dell'autore»), di Emil Cioran («la sua padronanza della lingua e del pensiero lo ha reso ai miei occhi un autore di gran razza»), di Igor Stravinskij («dentro la navata in pietra di questa chiesa cittadina, la vostra opera magnifica erigeva un'altra navata, di portata universale»), di Ungaretti («la bellezza della vostra opera sta nell'esigenza del suo denudarsi»). Restano esclusi dal volume chissà perché documenti importanti come l'omaggio a Jackie Kennedy (che «si è addentrata nell'orrore più solenne»), le lettere a Churchill, De Gaulle, Roosevelt, il fatidico Memorandum sur l'organisation d'un régime d'union fédérale européenne redatto per Briand nel 1930. Già: la prima ipotesi di una unione europea è stata ideata da un poeta. Soprattutto, il rischio è che di Saint-John Perse, in libreria, si trovino reperti laterali, leccornie bibliografiche come questa, in assenza delle opere poetiche, tradotte da studiosi di pregio Stefano Agosti, Romeo Lucchese ormai pressoché scomparse.
Saint-John Perse resta il poeta inafferrabile, che rifiuta classifiche e non ha generato epigoni. Aveva sei anni, nella fattoria alle Antille, quando la governante mulatta gli dipinse il volto di zafferano, lo portò ad assistere a un rito, nella foresta.
Vide uomini con la maschera, ballavano, posseduti. Vide serpenti, fauni e idoli nascere e morire nel fuoco. Ne fu segnato, fin nel ghiacciaio del sogno. Tutti ricordano, del poeta, l'eleganza impari: pareva un ghepardo.
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