Riflettevo sulla coincidenza e sul destino di due affreschi strappati e trasferiti - dai muri originali a Borgo San Sepolcro - in America e nel museo civico della città natale di Piero della Francesca. Il primo, un Ercole con la clava, fu acquistato da Isabella Stewart Gardner per il suo museo a Boston. L'affresco dell'Ercole fu identificato e riconosciuto nella seconda metà del XIX secolo in una stanza di quella che era stata la casa della famiglia di Piero della Francesca a Borgo San Sepolcro, in via delle Aggiunte. Fu strappato, con danni e il taglio della parte inferiore, durante le fasi del distacco e del trasporto, e acquistato dall'antiquario fiorentino Elia Volpi, che lo propose a Isabella Stewart Gardner, tramite Joseph Lindon Smith, nel 1903. Il governo italiano concesse l'esportazione nel 1908. Una riproduzione in situ, nel palazzo, impedisce di verificare se sul muro originale vi sia traccia dell'affresco o della sinopia.
Per molte evidenti ragioni l'affresco è affine, nell'impianto e nella espressione tetragona del volto, all'altro affresco (fino a oggi non attribuito), da me identificato nel deposito del museo civico di Borgo San Sepolcro, strappato in epoca imprecisata (attorno agli anni Cinquanta), di perfette proporzioni, proprio le stesse dell'Ercole, e quindi grande al vero (cm. 202x95), proveniente dalla parete sinistra dalla vicina Badia di Gricignano, una pieve piccola e dimenticata, sommariamente restaurata, con intonaci bianchi all'interno che hanno comunque risparmiato la porzione a sinistra dell'altare dove si vedono tracce della sinopia e degli strati di pittura dai contorni ricalcati, rimasti sulla parete dopo lo strappo forzato del San Sebastiano. Tutto, a partire dalla testa antica e immota, con l'imperturbabilità di Buster Keaton, nell'omaggio alla bellezza e alla giovinezza del santo statuario e luminoso, parla di Piero. La posizione statuaria è la stessa dell'Ercole, con lo scarto speculare della gamba sinistra dell'uno e della gamba destra dell'altro, come in un passo di danza. Il walzer di Piero. La stessa divaricazione si ritrova nelle gambe del San Sebastiano, immediatamente precedente, nel polittico della Madonna della Misericordia di Borgo San Sepolcro. Sorprendenti le concordanze nell'esecuzione delle gocce di sangue, in corrispondenza delle ferite delle frecce.
Tutte e tre sono testimonianze giovanili del pittore, nato probabilmente nel 1416, e attivo nella sua città, e nella limitrofe pievi, tra il 1430 e il 1450. La sua formazione in patria, città di frontiera, tra influssi fiorentini, senesi e umbri, fu nella bottega di Antonio d'Anghiari, attivo a Borgo San Sepolcro. Il 27 maggio 1430 un documento indica il pagamento a Piero per gli stendardi e le bandiere con le insegne del Comune e del governo papale, sopra una porta delle mura.
Nel 1438 Piero è di nuovo ricordato a Sansepolcro, tra gli aiutanti di Antonio d'Anghiari, cui era stata commissionata in un primo momento la pala per chiesa di San Francesco (poi realizzata dal Sassetta). Nel 1439 Piero è documentato per la prima volta a Firenze: il 7 settembre è citato tra gli aiutanti di Domenico Veneziano per gli affreschi, oggi perduti, delle Storie della Vergine nel coro della chiesa di Sant'Egidio. La pittura di luce segna la continuità tra l'uno e l'altro pittore, oltre l'energia e la potenza di Masaccio. Con Domenico Veneziano Piero aveva probabilmente già lavorato a Perugia nel 1437-38, e anche, secondo il Vasari, a Loreto, per la chiesa di Santa Maria, dove i due pittori furono chiamati ad affrescare «un'opera nella volta della sagrestia; ma perché, temendo di peste, la lasciarono imperfetta» la decorazione fu portata a termine da Luca Signorelli. Negli affreschi di Loreto sono molto forti ed evidenti le idee-guida di Piero.
Nel 1442 Piero è di nuovo a Borgo San Sepolcro, ricordato tra i «consiglieri popolari» nell'Assemblea comunale. L'11 gennaio 1445 riceve dalla Confraternita della Misericordia la commissione per un polittico per l'altare della chiesa. L'esecuzione del polittico si protrasse, con l'aiuto di un allievo non identificato, per oltre quindici anni, come indica un pagamento al fratello Marco di Benedetto de' Franceschi, per conto di Piero, nel 1462. L'affresco cade probabilmente prima dell'inizio dei lavori nella chiesa di San Francesco in Arezzo (1452). L'espressione del volto e l'eleganza «balthusiana» del San Sebastiano di Gricignano corrispondono a notevoli dettagli degli affreschi aretini, nelle figure del profeta Ezechiele e del profeta Geremia. Nel primo si ritrovano i ciuffi di capelli a trucioli; nel secondo la distanza remota dello sguardo. Strette le affinità anche con il frammento con l'angelo alla destra della Vittoria di Costantino su Massenzio. Quella imperturbabilità, quella memoria della statuaria severa, di acerba classicità, con il torace protobramantesco modellato anatomicamente sulle statue antiche, annullando quasi le ombre, senza diminuire l'impianto tridimensionale del volume del corpo, sono il paradigma stabilito, prima di Antonello da Messina e di Mantegna, da Piero della Francesca.
Questi elementi stilistici avvicinano inequivocabilmente
l'opera agli affreschi della chiesa di San Francesco ad Arezzo, non ne temono il confronto. Piero è naturalmente atarattico. Il rumore dei tempi non lo sfiora. Egli concepisce archetipi. Un giovane, atletico San Sebastiano.
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