"I primi tempi in Mediaset sono stati davvero entusiasmanti perché c'era tanta voglia di sperimentare". Gene Gnocchi, 65 anni, più di metà trascorsi a calcare il palcoscenico, si racconta a 360 gradi e non risparmia critica alla televisione e alla politica dei nostri tempi.
Quando ha deciso di entrare nel mondo dello spettacolo?
“Facevo un po' di attività amatoriale col gruppo rock-demenziale Desmodromici con mio fratello Charlie e altri musicisti partecipavamo ad alcune feste dell'Unità. Durante queste serate ho capito che la gente si divertiva con i nostri monologhi. Poi, spinto da un mio amico e socio dello studio legale, ho fatto un provino allo Zelig ed è andato bene. Praticamente non ho fatto tanta gavetta, Zuzzurro e Gaspare mi hanno scelto subito per fare Emilio. Stiamo parlando del 1988, sono 34 anni di carriera”.
Cosa spinge un avvocato a diventare un comico?
“In realtà, a me piaceva fare l'avvocato, ma farlo in una piccola cittadina è un lavoro molto routinario. C'è qualche recupero crediti, qualche separazione o sfratto esecutivo e, quindi, non c'è il grande penale o il grande civile. Diventava tutto quasi un lavoro impiegatizio e visto che si era aperta questa strada ho detto: 'proviamo' e, fortunatamente, è andata bene”.
Qual è l'esperienza televisiva che porta nel cuore?
“Ce ne sono parecchie. Sicuramente il sodalizio con Teocoli è stato fondamentale perché ho conosciuto una persona di grande valore e generosa perché è sempre stato prodigo di consigli. È uno che se vedeva che una battuta stava meglio in bocca a un altro gliela lasciava. Poi c'è stato il sodalizio con Simona Ventura che è stato altrettanto bello, ma se una cosa che proprio porto nel cuore è Dillo a Wally perché è il programma che più mi apparteneva dal punto di vista dei contenuti televisivi”.
Si è trovato meglio a lavorare in Rai o a Mediaset?
“Mi sono trovato benissimo in Mediaset dove ho iniziato con Emilio, poi ho condotto Mai dire gol, Vicini di casa, Il gioco dei nove e Striscia la notizia. Praticamente ho fatto tutto. Poi, in Rai ho fatto la Domenica sportiva e Quelli che il calcio e mi sono trovato altrettanto bene perché avevo dei patner eccezionali come Simona Ventura, Maurizio Crozza e Massimo Caputi".
Quanto è cambiata la televisione rispetto a quando lei ha iniziato?
“È cambiata tantissimo perché prima, se un progetto faceva fatica, ci si credeva e si teneva. Parlo per esempio delle Iene che all'inizio non andava bene oppure di Mai dire gol che all'inizio andava così così e, poi, è esploso perché la proprietà ci ha creduto. Adesso, invece, se i programmi non vanno bene, dopo una puntata li tolgono. Prima, poi, erano programmi scritti, mentre ora ci sono quasi esclusivamente reality dove la scrittura è troppo poca. Sono dei format dove si cercando di assemblare figure che si spera diventino personaggi. Non c'è meno professionalità, ma molta meno voglia di rischiare qualcosa”.
Oggi è più difficile o più facile fare satira politica rispetto agli anni '90?
“È diventato più difficile perché ultimamente il politicamente corretto è diventato una iattura per cui devi stare attento a qualsiasi cosa dici. È diventato più difficile anche perché oggi il politico ha molta più visibilità di un tempo. Prima lo vedevi nelle tribune politiche di Jader Iacobelli e l'idea di poterlo caricaturizzarlo diventava un elemento importante. Adesso il politico è in televisione tutto il giorno e diventa una macchietta perché, avendolo visto così tanto, non è più lui. È una caricatura che è difficilissimo da riprodurre e anche per questo a me la satira politica non interessa tanto".
Quale politico le è di maggiore ispirazione?
“Toninelli l'ho fatto con piacere perché era una fonte inesauribile. Anche dal punto dell'immagine, con quelli occhi sempre sbarrati come se si fosse trovato in una situazione molto più grande di lui, era piacevole farlo”.
Come giudica l'attuale stato di salute della sinistra italiana?
“Vengo da una famiglia di sinistra. Mio padre era sindacalista, segretario generale della Camera del Lavoro della Cgil a Parma e ha fatto tutte le grandi lotte per i rinnovi dei contratti con le grandi aziende della zona. All'epoca c'era un'attenzione nei confronti del mondo del lavoro che adesso non ritrovo più. C'è una mancanza di rapporto con le fasce più deboli che mi ha lasciato prima perplesso e, poi, allibito”.
Che voto darebbe al governo Draghi?
“Sta facendo quel che si ci aspetta che faccia e credo che si stia muovendo bene. Io ho fiducia. Ho più fiducia in Draghi che in Conte”.
Lei viene da Parma, il primo capoluogo conquistato dai grillini. Cosa pensa del M5S?
“Penso che i Cinquestelle abbiano cavalcato un voto di protesta che era largamente diffuso. Io feci la campagna politica ad personam perché Bernazzoli era mio compagno di scuola, sapevo che aveva fatto benissimo in provincia e che è una persona specchiata. Aiutare un amico che stimo mi ha fatto molto piacere e, anzi, sono contento di aver fatto la campagna elettorale con lui. Nei miei spettacoli prendo in giro i Cinquestelle. Anche nell'ultimo libro ho dedicato un capitolo a loro. Sono assolutamente convinto che un abominio come 'uno vale uno' qualifica non solo il movimento politico, ma tutta l'intera classe politica di quel movimento. Poi, avendo fatto i talk show con Floris e Porro, li ho visti un po' tutti e devo dire che non ho grande fiducia in loro. Una volta si eleggeva persone che ritenevi migliori di te e che avessero una visione. Adesso la classe politica è inferiore all'elettorato e, quando a Quarta Repubblica Conte ha ripetuto che per lui è una 'faticaccia', gli ho ripetuto che lo è anche per noi elettori”.
E il centrodestra come lo vede? Era meglio Berlusconi oppure è meglio il duo Salvini-Meloni?
“Secondo me, dal punto di vista di un antagonista, era meglio Berlusconi perché sapevi chi era e qual era la sua storia. Salvini e la Meloni, invece, fanno a gare per lisciare il pelo a delle frange che non sa neanche cosa sia un vaccino. Non capisco perché fare delle questioni su un vaccino che, fortunatamente, abbiamo avuto in tempi record. Molto meglio Berlusconi”.
A tal proposito, ha avuto paura del Covid?
“Io ho perso quattro amici carissimi per colpa del Covid. Avevo una paura fottuta perché erano persone che giocavano a calcio con me e li sentivo tutte le settimane. Amici più o meno tutti della mia età che si sono ammalate e che, improvvisamente, se ne sono andate. Non avevo paura, avevo terrore del Covid”.
Passiamo all calcio. Perché negli anni 2000 chiese di essere tesserato in serie A? Fu una provocazione?
“È un'idea che mi è venuta quando facevo Quelli che il calcio...Era il periodo di Calciopoli e ho provato a stemperare i toni andando a fare dei provini in giro tra le società. Era anche un vezzo personale perché sono stato un calciatore nei Dilettanti e mi solleticava l'idea di poter dire: 'ho fatto anche cinque minuti in Serie A'”.
Qual è il suo più grande rimpianto?
“Di aver fatto poco cinema. Ho fatto solo un film con Lina Wertmüller e due con Piccioni. Mi sarebbe piaciuto farne di più”.
E qual è la sua più grande paura?
“Che possa morire qualcuno dei miei figli”.
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