Massimo Arcangeli è un linguista e sociologo della comunicazione, e insegna all'Università di Cagliari. Già scettico verso lo schwa - una vocale neutra simile a una «e» rovesciata, , il cui uso si sta affermando all'interno del movimento transfemminista nel tentativo di proporre un linguaggio diverso da quello che vede il predominio del genere grammaticale maschile mesi fa se l'è ritrovato fra le pagine di un documento pubblico, in ambito universitario. Da lì ha iniziato una campagna contro l'uso strumentale di un simbolo illogico e per nulla inclusivo. A febbraio Arcangeli ha diffuso su change.org la petizione «Lo schwa? No, grazie. Pro lingua nostra» che ha superato le 23mila firme, sottoscritta anche da intellettuali non certo di destra o conservatori; ultimo, giorni fa, Piergiorgio Odifreddi. Poi ha pubblicato, da poco, il pamphlet La lingua scema. Contro lo schwa (e altri animali) (Castelvecchi). E ieri ha inviato al ministero della Università, e per conoscenza al ministero dell'Istruzione e alla Presidenza del Consiglio, l'elenco delle firme, con allegata una perizia linguistica, chiedendo una risposta sull'utilizzo dello schwa in un documento istituzionale.
Professore, cos'è lo schwa e qual è il suo obiettivo?
«È un simbolo tecnico che indica una vocale di suono intermedio, fra la a e la o ad esempio. E per quanto adottato da tempo da glottologi e linguistici risulta essere un corpo estraneo dentro la lingua italiana: per quanto presente in alcuni dialetti del centro e del sud, resta un suono sconosciuto. Se fosse introdotto modificherebbe la strutta fonetica della nostra lingua dal profondo, aggiungendo qualcosa che non esiste».
E perché aggiungere qualcosa a una lingua è un problema?
«Perché non parliamo di un neologismo tante parole nuove nascono ogni anno in ogni lingua, senza modificarne però la struttura - ma di un suono che non esiste. E se lo uso, ad esempio, per dire autor , perché non voglio riferirmi né a un autore né a un'autrice, pronuncio un suono indistinto e così facendo, poiché l'italiano è una lingua di accordi, mi porto dietro articoli, aggettivi, pronomi, participi passati... e questo significa minare dall'interno le strutture della lingua. Se usiamo sistematicamente lo schwa, creiamo un mostro».
Ma se non lo usiamo offendiamo chi non si sente né uomo né donna, e rafforziamo l'idea di una lingua maschilista.
«Ci sono altre soluzioni. L'italiano possiede parole epicene che possono essere utilizzate sia per maschi sia per femmine senza variazioni di forma. Ad esempio, e mi riferisco ai documenti di un concorso universitario, invece di scrivere candidat posso usare la parola persona, che non marca alcun genere. Ma fa più chic adottare altre soluzioni, più dirompenti, per quanto improponibili».
Più chic, o più radical chic?
«L'uso dello schwa è nient'altro che la deriva del politicamente corretto - perché di questo parliamo - che pretende di azzerare ogni differenza, anche fra maschile e femminile. Ma se io dico autor invece che autore o autrice, di fatto col maschile sovraesteso distruggo anche il femminile, cioè sancisco la morte di termini come direttrice e pittrice che attraverso una travagliata evoluzione linguistico-culturale hanno impiegato secoli per ottenere dignità. Così, con l'alibi dell'inclusione, spediamo in soffitta conquiste strappate con fatica all'uso generalizzato del maschile. Infatti la petizione è stata firmata da molte donne, anche del mondo dello spettacolo, come la regista Cristina Comencini».
Chi difende lo schwa? E perché?
«L'obiettivo è guadagnare consenso rispetto a chi giustamente rivendica la propria identità sessuale, dichiarando di non riconoscersi in un genere binario, né uomo né donna. Diritti più che giusti, intendiamoci. Ma cavalcati da quanti si ergono a paladini dei temi dell'inclusione e che vogliono imporre la propria visione del mondo a un'intera comunità. Sono linguisti, sociologi della comunicazione, addetti ai lavori vicini al mondo Lgbt. E lo fanno pur sapendo benissimo che è impossibile applicare lo schwa sistematicamente... Se lo facessimo, parleremmo una lingua che non è più quella italiana. Purtroppo gli argomenti per sostenerne l'uso sono poveri e prevale una visione politico-ideologica del problema».
Le lingue cambiamo naturalmente o imponendo nuove regole?
«Tentativi di intervenire su una lingua in modo artificiale ci sono sempre stati nel corso dei secoli, ma sono tutti falliti miseramente. Le lingue non cambiano ope legis, ma in modo naturale. Evolvono, certo: ma il cambiamento linguistico è sempre meno veloce di quello sociale. Sindaca o ministra sono parole che qualche anno fa piacevano molto meno di oggi, e attiravano resistenze; oggi sono usate comunemente e ci suonano molto meno male. Il cambiamento linguistico è giusto e inevitabile. Ma qui siamo di fronte a un'operazione studiata a tavolino, manipolatoria, che sfrutta le legittime rivendicazioni di chi pretende per sé un appellativo non binario... Posso accettare che un determinato simbolo sia usato occasionalmente come forma di rispetto per una persona, ma non sistematicamente. Soprattutto non può finire in atti pubblici».
L'uso dello schwa è un tentativo di semplificare o complicare la lingua?
«Le lingue evolvono sempre verso la semplificazione. Ed è evidente che inserire un simbolo nel tessuto linguistico italiano significa inventarsi una grammatica nuova. Ma così facendo non semplifico la lingua, la rendo più complessa... È un modello che non potrebbe mai attecchire, tanto meno nei tempi brevi pretesi da certe minoranze ideologizzate e woke».
La Crusca si è pronunciata bocciando lo schwa.
«Certo, nel settembre del 2021, con un articolo del linguista Paolo D'Achille, decretando che lo schwa è inaccettabile. E lo stesso presidente della Crusca Claudio Marazzini ha firmato la mia petizione. Poi c'è stato un articolo di Cristiana De Santis, dell'Università di Bologna, sul sito della Treccani, che sostiene come la via dello schwa sia impercorribile...».
Ho letto interventi a favore dello schwa molto appassionati, di Christian Raimo ad esempio.
«Raimo non conosce la linguistica. Il suo è un approccio ideologico, il mio tecnico».
Chi attacca lo schwa è considerato un conservatore, o peggio un reazionario.
«La politica non c'entra. Io ribadisco un principio di economia linguistica contro il tentativo di rendere meno trasparente e meno civica la lingua, soprattutto la lingua pubblica, quella delle istituzioni, dei giornali, delle amministrazioni.
Io non posso rendere incomprensibile un testo usando schwa e asterischi. La lingua è un patrimonio di tutti, e non può essere assoggettata da una minoranza. Poi, certo: nel nostro Paese si è molto bravi a spostare tutto sul piano ideologico. Rende di più».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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