Servono i baffi di Pardini per scrivere romanzi bestiali

Ha fatto la guardia giurata e se fosse americano sarebbe McCarthy. Racconta la natura ma la sua è "fantascienza"

Servono i baffi di Pardini per scrivere romanzi bestiali

A proposito di baffi, vorrei argomentare con vigore l'idea che se uno scrittore ha i baffi è un grande scrittore. Vincenzo Pardini ha i baffi. Davide Barilli ha i baffi. Eraldo Affinati ha i baffi. Chi altri ha i baffi? Carmine Abate ha due bei baffoni da meridionale emigrato in Trentino. Una volta vidi Tiziano Scarpa con due bei baffoni alla Village People. Un paio di baffi che scendevano sotto le guance e andavano verso il mento. Pensai: «Vuoi vedere che adesso anche Scarpa ci ciòcca un poderoso libro baffuto?» Poi niente, i baffi se li tagliò, e adesso sembra ancora Zio Fester degli Addams.

Vincenzo Pardini è pelato e ha i baffi. Ma non fa come la stragrande maggioranza dei pelati, che per non sembrare pelati si rasano. No. Troppo facile. Pardini tiene i baffi e si tiene la pelata vera, quella coi capelli che incorniciano nuca e tempie poi si fermano lasciando campo aperto a una piazza immensa, lucida. Pardini è un grande scrittore i cui testi senza fronzoli raccontano di manovali, maniscalchi, contadini, reduci, disperati, pazzi deliranti. Pardini è incompreso dai più per un vizio iniziale, che lo vorrebbe maupassantiano. Colpa di Natalia Ginzburg che in un bellissimo ritratto apparso in bandella sul libro capitale Il falco d'oro, del 1983, gettò le basi per inquadrare e tombare per l'eternità lo scrittore della Val di Cerchia che fa la guardia notturna per sopravvivere e nella scrittura ricorda il francese di Bel Ami, dice la Ginzburg.

Alla fine scrittori viventi, coi baffi e pelati, rimangono veramente in pochi: Abate, Affinati e Pardini. Punto. Pardini è uno che in quei venti racconti de Il falco d'oro mette in scena uomini, bestie, intemperie di ogni tipo e in alcune pagine felici sembra di leggere l'Antico Testamento scritto da uno della provincia di Lucca. Come facesse a trentatre anni a scrivere così Dio solo lo sa. Comunque, per come la vedo io, Pardini non è uno scrittore Post-Naturalista, giusto per usare criteri scolastici, ma è un vero e proprio scrittore di Fantascienza.

Ecco il punto, ecco ciò che volevo argomentare parlando di baffi che, lo dico per i più tonti di noi, è una figura retorica bella e buona. Scrittori coi baffi uguale scrittori molto bravi. Scrittori coi baffi e pelati uguale grandi scrittori. Capito l'antifona? Ecco, dicevo, Pardini è uno scrittore di Fantascienza. Quarant'anni fa scriveva del nostro mondo di oggi, in cui l'umanità si dirada, si nasconde, entra in lockdown per mesi e la natura inizia a riappropriarsi degli spazi. Qualsiasi video in cui cinghiali invadono le piazze, mufloni sfondano steccati, alci occupano prati e parchi prima ad appannaggio degli umani che si dilettavano in corsette scioglipancia e pic-nic con spritz incorporato, di colpo cambiano destinazione e, senza gli umani, la natura si espande. In quei dannati video virali c'è la profezia di Vincenzo Pardini.

Lui già quarant'anni fa lo sapeva. Nei racconti di Pardini la natura è in continua espansione, in una lotta incessante di riappropriazione di rupi, monti, rocce, foreste, spazi contaminati. L'uomo a volte ne è testimone, altre volte nemico, in alcune narrazioni nemmeno c'è. Cos'è questo? Naturalismo? No no, questa è Fantascienza, con alcuni elementi di preveggenza. C'è un senso del dramma in ogni racconto. Noi lettori ci mettiamo lì, a leggere, e Pardini, con schioppettate dapprima sporadiche, poi con mitragliate, racconta la storia di mule scomparse, di avvoltoi grandi come tori alati. Scrive: «Come in un vagellamento: il lazzaretto; un uomo vicino a un animale; l'oggi eguale al domani; il passato lontano; il presente immobile». Escalation continue, drammi, tragedie. Si capisce la forza di questo autore? Pardini è uno che spara, Pardini è il nostro P.K. Dick, altroché la nobiltà di Maupassant. Pardini se fosse in America del Nord sarebbe maestro di Cormac McCarthy e Raul Montanari dovrebbe tradurci Pardini al posto di McCarthy. Qui siamo al cospetto di uno che girava di notte, armato, a svolgere uno dei lavori più duri che possano esistere: la guardia giurata. Fare la guardia giurata in Garfagnana, in Lunigiana, di notte, con qualsiasi tempo: bufera, ghiaccio, neve, tornadi, grandini, lune piene, tuoni, lampi, ululati, presumibilmente provoca visioni. Branchi di lupi, cinghiali, cervi, daini, volpi, asce lucide come rivoltelle. Poi prendeva in mano la penna e scriveva.

Pardini fa stare tutti sull'attenti coi suoi orsi e le caverne e gli alberi fossilizzati duri come acciaio, tane di lupe coi cuccioli affamati. Con Pardini si legge e si sta muti. Pardini raccontava Chernobyl e non ce ne rendevamo conto. Faceva leggere le sue storie a Cesare Garboli. No dico: Cesare Garboli, uno insofferente come una tigre tra le sbarre. Uno che schifava l'umanità intera. A Garboli le storie di Pardini piacevano. Ci rendiamo conto che abbiamo un classico della Fantascienza ancora tra noi?

Uno a cui poter chiedere, che ne so: «Pardini, cosa ne pensa della politica internazionale?», oppure: «Pardini, ci dica: quali saranno le sorti del mondo»? E lui risponderebbe pressappoco cosi: «Nel casolare il vento sbatteva come un uomo infuriato picchia i pugni sul tavolo dell'osteria. Il fumo del camino avvolgeva la stanza infilandosi dappertutto quasi avesse voluto fuggire a se stesso.» Capite no che i grandi saggi, come lui, parlano per simboli, ci raccontano tramite parabole e visioni? Sta poi a noi alzare il culo e partire. Abbiamo Pardini in Italia e invece ci accontentiamo di ascoltare, che ne so, Francesco Piccolo. Che gli vogliamo un bene dell'anima, per carità. Ma i suoi Momenti di trascurabile felicità dai, seriamente Francè! Ci rendiamo conto? Sandro Veronesi lo sa no? Michela Murgia ti rendi conto vero? Scusa se ti do del tu, ma siamo coetanei e i tuoi sorrisi mi fanno simpatia. Nel 1983 quando usciva Il falco d'oro per Mondadori, altri scrittori erano indaffarati a raccontare di due o tre sfigati che si sballavano, di uccelli da gabbia e da voliera, sgallettate modelle nella Milano edonistica. Intanto lui ci faceva vedere il futuro attraverso poiane, volpi, cuculi e cagnacci inselvatichiti. Con chi può più interloquire Pardini adesso che non c'è più Garboli? Con chi può parlare Pardini adesso che non c'è più la Ginzburg? Giovanni Raboni, Siciliano. Con chi può interloquire Vincenzo Pardini che fuma la pipa, è pelato, tiene i baffi e sicuramente ha il porto d'armi e va a caccia per vedere i cavalli selvatici della Maremma? Con chi parla eh? Con una signora che organizza gruppi di lettura in biblioteca? Con gli scrittori che fanno la raccolta firme per fare diventare tutti vegani?

Col romanzo Jodo Cartamigli, dell'89, ci fecero pure un film con David Bowie, Harvey Keitel, Pieraccioni e la Marcuzzi. S'intitolava Il mio west. Per la serie trova l'intruso.

Un giorno, qualche mese fa, mi sono fatto coraggio e ho scritto a Pardini. Con il mio solito, pericoloso entusiasmo, che fortunatamente con il passare degli anni sta scemando, volevo pubblicare e dare spazio a uno degli scrittori più importanti di questa nostra epoca infame.

Per fortuna mi ha gelato: «Buongiorno Bregola, purtroppo mi coglie in un periodo che non sono più interessato a pubblicare libri. È già da qualche tempo che ho perduto questo genere di interesse. La ringrazio dell'attenzione V.P.». Come si fa a non fiondarsi in libreria e comprare, poi leggere, tutti i libri reperibili dell'autore?

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