Se il passato si reincarna Missione (im)possibile: portare «Solaris» a teatro

Il capolavoro di Tarkovskij diventa dramma per indagare una società senza più valori

Se il passato si reincarna Missione (im)possibile: portare «Solaris» a teatro

Walter Gatti

Esattamente 45 anni Andrej Tarkovskij, si confrontava con una serie di domande piuttosto impegnative: che fare se lo scientismo razionalista non riesce a spiegare nulla delle domande più ingombranti dell'uomo, quali (ad esempio) il rapporto con la morte, con la sparizione degli affetti, con il senso del tempo? Come regolare i conti con il dolore e con l'assenza? Come può un popolo evacuare totalmente il proprio passato e la sua memoria? Sono questi i temi toccati da Solaris, romanzo miliare della sci-fi di Stanislaw Lem trasformato da Andrej Tarkovskij in uno dei più grandi film della storia del cinema, un film che non a caso un certo Akira Kurosawa considerava la più importante opera della cinematografia di fantascienza.

Uscito come romanzo nel 1961 a firma di Lem (autore polacco che ha pubblicato in carriera altri titoli importanti come L'invincibile, L'indagine e Il pianeta del silenzio) e poi sul grande schermo nel 1972, questo testo visionario interpretabile su almeno tre differenti piani di significato (psico-tecnologico, politico-sociale ed etico-religioso) è stato trasformato da Fabrizio Sinisi (drammaturgo della compagnia Lombardi-Tiezzi) e dal regista Paolo Bignamini in dramma teatrale ed è una delle proposte di rilievo del Meeting per l'amicizia tra i Popoli, in corso di svolgimento in questi giorni a Rimini (Teatro Novelli, martedì 22 agosto, ore 21,30).

La vicenda di Solaris è presto detta nei suoi elementi essenziali: Kris Kelvin, uno psicologo del futuro prossimo, viene inviato sulla Solaris Station per capire cosa sta accadendo all'equipaggio di questa astronave che orbita attorno al misterioso pianeta Solaris, inquietante corpo costituito di magma pensante. Sulla navicella regna un gelido caos popolato da figure riemerse dal passato degli astronauti-scienziati ed in breve anche Kelvin viene coinvolto in questa reificazione di sogni ed affetti (gli si materializza la moglie Hari, morta suicida) e deve così decidere se convivere con la propria memoria oppure eliminarla. L'epilogo della vicenda dichiara apertamente che c'è vita solo nel coraggio con cui Kelvin affronta il futuro senza paura del passato, con tutto il suo carico di dolore e mistero.

Non sembra proprio un caso, dunque, che il Meeting (che cita il Faust di Goethe per il suo titolo di quest'anno: «Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo») abbia inserito Solaris nel suo cartellone, proprio perché l'opera di Lem analizza una società laddove vengono sradicati valori e dimensioni affettive, familiari, religiose, sociali, culturali. Ridurre tutto questo in una pièce teatrale non è sfida da poco. Rinunciando per ragioni di mezzo espressivo alle visionarietà tarkovskiane, il Solaris teatrale conferma quel mix di lentezza e vertigine che è del film, mettendo in scena la necessità di rendere fisica la memoria, di renderla tangibile per farne una forza creatrice, quasi religiosa. In scena i tre protagonisti della pièce alternano la loro presenza su tre piattaforme-iceberg immerse nell'oceano del pianeta Solaris, quasi, afferma il regista Bignamini, a «simboleggiare gli spazi dove i personaggi si confrontano con lo sconosciuto». Un confronto a cui contribuisce l'essenzialità del linguaggio teatrale, con le scene di Francesca Barattini, i costumi di Gerlando Dispenza e le luci di Fabrizio Visconti impegnate a ricreare emozioni gelide nel loro inquietante lirismo. Hari ha il volto di Debora Zuin, attrice di scuola Strehler. Giovanni Franzoni è un lacerato Kris Kelvin, mentre tocca ad Antonio Rosti dare volto al prof.

Sartorius, un non-Virgilio che costringe lo psicologo a scoprire le forze interiori per uscire dal girone infernale del mistero senza radici e significato. Tre attori in grado di rendere convincente l'approdo ad un perdono che rimette in moto la realtà sospesa.

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