Tutto il cristianesimo - sosteneva Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia analitica - poggia sul vuoto. «Quello del sepolcro di Cristo, risorto. È questo vuoto la sua forza più potente». In effetti le antropologie del vuoto, tra le quali il buddismo con al centro la sua idea di vacuità, sono più consistenti di quelle del pieno, come il paganesimo; fatalmente smentite dalle inevitabili esperienze della sconfitta e della morte. Eventi inconcepibili per quelle divinità. Come per l'islam, che vede in esse solo un segno della natura umana di Cristo. Nell'antropologia cristiana invece, sofferenza e morte si vincono attraversandole fino in fondo. Innanzitutto con l'esperienza della croce, considerata (anche da Costantino) segno di vittoria. Soprattutto però con il colpo finale più potente, nei Vangeli non descritto ma lasciato all'immaginazione, e di cui si vedono invece le conseguenze. La grande pietra che chiudeva il sepolcro spinta lontano. E Gesù risorto.
Fabrice Hadjadj, il filosofo contemporaneo più colpito e affascinato dalla carnalità e semplicità del Cristianesimo, racconta in Risurrezione. Istruzioni per l'uso (Ares, pagg. 176, euro 15) gli avvenimenti successivi alla deposizione di Gesù. Scenari spesso coperti (anche dai preti) con metafore moralizzanti, qui spietatamente smontate con il mix di lucidità post illuminista e humour ebraico che caratterizzano l'autore. Hadjadj riconosce subito che «il miracolo dei miracoli è un miracolo vuoto». Il vuoto necessario perché l'uomo lo possa occupare. È il gesto della madre, che fa posto alla creatura, nutrendola con le viscere e con il calore. Il sepolcro si fa utero, primo scenario della risurrezione, della quale l'uomo si deve nutrire per diventare pienamente umano. E quindi divino. Il Risorto è un Dio che, nella sua lezione di umanità, comincia la sua gloria con il «semplice gesto di una lavandaia: il telo intatto e il sudario posto da parte». La «mistica dei lavori domestici» contrapposta all'aspettativa «del grande spettacolo o della prova di forza». Il sepolcro è vuoto, ma la biancheria è a posto, e ripiegata.
L'assassino «sono io, ossia anche tu, caro lettore» ma dov'è il corpo? I dignitari ebraici hanno dato prontamente una borsa d'oro alle guardie, per mettere in giro la voce che è stato rubato. Ma lui dov'è? Il caso non è affatto facile. Intanto, la prima ad arrivare al sepolcro, Maddalena non riconosce il Risorto, dietro di lei. È incerta se quell'uomo sia il giardiniere incaricato di tenere in ordine la tomba, o addirittura il ladro del cadavere. Non è però lei ad essere distratta, o stupida. Il fatto è che il Risorto non è un dio che vada in giro tra schiere di angeli fiammeggianti e con le trombe: è un uomo come gli altri, che così mostra come accettando la croce, senza montarsi la testa, tutti possiamo risorgere. Ricordando però alcune cose, già spiegate nelle scritture bibliche precristiane, ma indispensabili anche per un corretto uso della risurrezione.
Hadjadj, nato all'inizio degli anni '70 nell'ebraismo e arrivato al cattolicesimo attraverso le diverse fedi secolari che hanno da allora spopolato (e spappolato molti), sottolinea i richiami alla tradizione biblica, su cui il Risorto insiste nei suoi incontri con gli apostoli. Perché come dice Abramo nella parabola al ricco Epulone (Luca 16, 27-31), quelli che «non ascoltano Mosè e i profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»: la risurrezione per loro è inutile. Anche i due discepoli che vanno ad Emmaus sono terrorizzati dalla morte e successiva scomparsa del corpo di Gesù, e hanno dimenticato le parole e i passi di Mosè e i profeti che l'avevano annunciata. Cristo li avvicina come un anonimo, qualsiasi viandante, un «altro» accanto e come loro, e gliele ripete tutte, quelle parole. Le parole del compagno sollevano i viandanti, che continuano però a non capire chi egli sia. Solo a tavola, quando spezza il pane lo riconoscono. Perché certo, è risorto, cammina e parla e mangia come tutti gli altri, ma il corpo in cui ormai viene riconosciuto e profondamente incontrato è il pane e il vino, il corpo e il sangue, in cui ad ognuno si offre. È anche per questo, sostiene Hadjadj, che Gesù chiede alla Maddalena di non toccarlo. Non per reazione puritana (il contrario della psicologia del Risorto) ma perché non vuole essere soltanto toccato. Ma mangiato. Vuole entrare dentro di lei. Nutrendo la sua umanità di donna, e così la sua risurrezione divina.
Come intuisce anche Tommaso. Lui non vuole storie, ma andare al sodo delle ferite, mortali. «Vedere il segno dei chiodi, e metterci il dito dentro, e le mani nel costato». È un empirista, come ogni fedele autentico, non un isterico che si accontenta di suggestioni. E il Risorto gli dice di farlo, di mettergli il dito e le mani dentro. La risurrezione è la gloria del corpo ferito e piagato: è quella la strada per lo Spirito. L'essenziale infatti, e Hadjadj lo racconta molto bene attraverso i Vangeli «non è la rianimazione del morto, ma il risveglio del vivente». Che si realizza «col sacramento di una risurrezione interiore che agisce fin da subito: un rinnovamento del respiro, una trasfigurazione della linfa del potere più soprannaturale e più necessario al quotidiano: quello del dono e del perdono». Non conservare la propria piccola vita ma accoglierla in maniera debordante per donarla. È dal corpo, dalla ferita che si passa per ricevere il soffio vitale dello Spirito. Dalla spada (non la pace) che Gesù aveva annunciato di portare fin da subito (Matteo 10, 34-38). Attraverso il riconoscimento dei conflitti, non la loro copertura o rimozione. Il Risorto, la carne del quale racconta la sua storia, e quella del mondo, consente la risurrezione di chi è disposto a riconoscere e incorporare tutta questa sofferenza e gioia dentro di sé, nella propria anima e carne. È agendo da questo concretissimo «passaggio al corpo, e al basso» (già cominciato del resto con la sua Incarnazione), e non da una qualsiasi grandiosità, che Gesù risorto può far scendere dall'alto lo Spirito. Pietro sarà Papa perché è stato il peggiore di tutti e lo riconosce. Non c'è alto e basso, c'è il vivente. Anche per questo, dopo la Risurrezione il Vangelo va proclamato ad ogni creatura, come San Francesco fa subito, parlando (per esempio con gli animali) appunto «lingue nuove» come Gesù comanda. E forse, insinua Hadjadj, il «prendere in mano i serpenti e bere veleni senza danno» (Marco 16, 15-18) ha già a che fare con l'uso del Mac e di Internet senza «perdere la presenza», cioè impazzire... Forse. Questa è infatti la grande sfida ed opportunità che il Risorto pone all'uomo di oggi: imparare dalla risurrezione a rimanere umani, senza lasciarsi conquistare dai due grandi deliri di grandiosità superomistica del nostro tempo, il tecnicismo e l'islamismo. Si tratta di rimettere la tecnologia nella sua storia forte al servizio dell'uomo, a partire dal bastone e della vanga, lasciando perdere i programmi di sostituirlo con macchine o esseri fabbricati artificialmente. Poi eventualmente soppressi con pietose (e tecnologiche) eutanasie. Una tecnologia (richiesta anche da grandi scienziati o capitalisti come Peter Thiel), che serva l'uomo, e non se stessa e le avidità della finanza.
L'altra sfida è quella del delirio di grandiosità religiosa: gli aspetti dell'islamismo che chiedono a Dio, incarnato nel piccolo Gesù e risorto nell'uomo della vita quotidiana di sottomettersi a chi grida Allah Akbar. La risurrezione, con la sua pienezza umana e divina, ci mostra le bellezza dell'uomo, e l'inutile (e già nota) follia del superuomo.
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