Sesso, violenza e parolacce. Altro che Alvaro Vitali

Sesso, violenza e parolacce. Altro che Alvaro Vitali

Ricordate gli incontri galanti tra Bill Clinton e Monica Lewinsky? In Killer Joe, uno dei film volgari che riempiono le sale di questi tempi, c'è, per così dire, un abboccamento di quel tipo. Invece che nella Sala Ovale della Casa Bianca siamo in una stamberga del Texas, ma le posizioni non cambiano. Il sicario del titolo, il fustacchione Matthew McConaughey, assesta un micidiale pugno sul muso all'esterrefatta Gina Gershon, riducendola a una maschera di sangue, come testimonia il puntuale primo piano. Poi la fa mettere carponi, l'attira a sé, afferra una coscia di pollo (fritto) dal tavolo, e, piazzandola ben dritta proprio lì, la costringe non solo a succhiarla, ma anche ad avvinghiarsi alle sue gambe. Raggiungendo, lo si intuisce dai ripetuti gemiti, l'orgasmo. Mentre la poveretta, forse senza aver mai saputo di Churchill, cola lacrime e sangue. Il tutto, e sono quasi cinque minuti, sotto lo sguardo, oltre che dell'allibito spettatore, di quello molto meno sbigottito, di marito, figliastro e figliastra. Davvero due bravi figlioli: il ragazzo, il piccolo spacciatore Emile Hirsch, ha assoldato il killer perché uccida la madre, che vive con un altro, e intascare così i 50 mila dollari di una polizza; la ragazza, Juno Temple, si è immolata con entusiasmo: le piace quel tipo che ha preteso lei come caparra in natura. Tanto per gradire, lo sfortunato Hirsch si prende due agghiaccianti, prolungate razioni di botte, con abbondanza di calci in faccia. Per tacere dell'insistente turpiloquio. Il film è vietato ai minori di quattordici anni. Che sollievo quindi per una madre che entrasse incautamente in sala col figlio quindicenne. Con roba del genere in circolazione, il resto sono rose e fiori. Per esempio il linguaggio, fastidiosamente sboccato, del noiosissimo On the Road, è ricco, manco a dirlo, di continui ammiccamenti sessuali. Oppure Cogan, un altro truce poliziesco, dove l'immancabile killer stavolta è il sorridente Brad Pitt. Anche qui parolacce in saldo, feroci pestaggi e crudeli esecuzioni con fucili a canne mozze. In modo da rendere più visibili i volti devastati.
E la povera Italia? Al solito siamo dei dilettanti al cospetto di tali maestri. In Tutti i santi giorni di Paolo Virzì, c'è un assatanato turista giapponese, che si rivolge speranzoso al protagonista, il giovane portiere notturno d'albergo Luca Marinelli. Cerca una escort, ma si accontenterebbe anche, fa capire a raffinati gesti, di un aiuto manuale, ben pagato, dello stesso signorino. Alvaro Vitali, che pure, beato tra le disinvolte soldatesse di quarant'anni fa, era in grado di spegnere una candela di spalle, avrebbe certo rifiutato una scena simile.
Poco dopo Marinelli, che non riesce ad avere un figlio dall'irrequieta (eufemismo) compagna punk Federica Victoria Caiozzo, si sottopone per due volte all'analisi del liquido seminale. Che faticaccia, anche se il giovanotto, come confesserà più tardi, in passato si era dedicato esclusivamente all'amore fai-da-te.

Un accanimento, preceduto dal beneagurante «siamo nelle sue mani» di una gentile infermiera, di cui la meticolosa regia non perde alcunché. Che bravo Virzì, ha scritto la critica colta. La stessa pronta a impalare, metaforicamente parlando, i Vanzina, Neri Parenti, Boldi e De Sica, per molto meno.

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