da Los Angeles
Era il 20 settembre 1973 quando la ventinovenne Billie Jean King, numero due della classifica femminile mondiale, riuscì a battere in tre set (6-4/6-3/6-3) il 55enne Bobby Riggs, numero uno al mondo per tre volte negli anni Quaranta, nella sfida che passò alla storia come «la battaglia dei sessi». A 44 anni di distanza, nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 19 ottobre arriva il film La Battaglia dei Sessi appunto, diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris (che è stata inteprete di Little Miss Sunshine) con l'attrice premio Oscar Emma Stone, quasi irriconoscibile, nei panni dell'occhialuta King e Steve Carell in quelli di Riggs. L'incontro, che si svolse allo Houston Astrodome, in Texas, davanti a oltre trentamila spettatori, fu seguito in televisione da più di 90 milioni di persone. Un match che è entrato di diritto nella storia, simbolo dell'eterna lotta uomo-donna. Al tempo stesso, la King che nel 1981 avrebbe fatto coming out diventò una grande icona della comunità LGBT che raccoglie lesbiche, gay, bisessuali e transgender.
Miss Stone, qual è stato il suo approccio alla parte?
«Non avevo mai interpretato una persona reale prima d'ora, quindi non avevo idea di come sarebbe stato il processo di preparazione. Quando ho incontrato Billie Jean per la prima volta però, mi ha fatto subito capire di essere molto aperta e disponibile nell'aiutarmi a comprendere tutti gli aspetti della sua vita».
Che tipo di ricerche ha fatto?
«Ho guardato moltissimi filmati di quel periodo, ho letto parecchio. Mi sono focalizzata al massimo sui suoi 29 anni. Volevo esprimere al meglio quella Billie Jean King e non quella che avrei potuto conoscere di persona».
Cos'ha capito della King 29enne?
«Che dormiva quattro ore a notte. C'era molta pressione su di lei, soprattutto dopo una vittoria. È quando piange che viene fuori la vera Billie Jean, perché si toglie la corazza che è costretta a indossare mostrando quello che c'è sotto la superficie».
Quanto è stato difficile per lei giocare a tennis?
«Tantissimo perché non l'avevo mai fatto in vita mia. Non sono per nulla brava ma ho avuto un'incredibile controfigura e un grande allenatore. C'era sempre anche Billie Jean che mi lanciava le palle facendomi notare ogni singolo dettaglio. Il film racconta della sua storia, della sua battaglia, se fosse stato sul suo modo di giocare a tennis, beh, non mi avrebbero mai dato la parte».
Come ci si prepara in questi casi?
«Ci siamo chiesti qual era il mio livello e in che modo farmi diventare una campionessa mondiale in tre mesi. Abbiamo provato le coreografie dei vari colpi, forse in pochi ci fanno caso, ma ci sono un sacco di sfumature».
Una trasformazione notevole anche dal punto di vista fisico: ha messo su qualche chilo e molti muscoli.
«È stato incredibile, non avevo mai interpretato un atleta e non sono mai stata una persona sportiva. L'inizio dell'allenamento è stato brutale, poi però raggiungi quel livello mentale in cui sei così forte che inizi a capire come ragiona un'atleta».
Ossia?
«Mi dicevo: Voglio mettere la palla là, e sentivo di poterlo fare, Voglio alzare un peso, e sentivo di poterlo fare. Ricordo di averlo voluto fare con il sacco del cibo del mio cane, che pesa poco più di 27 chili».
Forza fisica ma soprattutto di testa.
«Billie Jean era un fenomeno anche dal punto di vista mentale. Ha portato cambiamento a livello sociale, in un mondo in cui tutto era bianco. Ha fatto di tutto per cambiare il mondo. Voleva la parità dei sessi e ha cercato di ottenerla partendo dal tennis».
Un esempio per milioni di donne e di tenniste. Ha visto la faccia che ha fatto Sloane Stephens quando le hanno consegnato un assegno da 3.6 milioni di dollari per la vittoria agli Us Open?
«Ero con Billie Jean a vedere il match quando è accaduto, e lei mi disse: Questo è quello per cui le donne hanno lottato in
passato, affinché le generazioni future potessero ottenere questi risultati e vivere momenti di gioia come questo. Credo sia stato incredibile per lei vedere una giovane donna vincere un premio in denaro così importante».
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