A spasso per la Romagna sulle note di Casadei

Gabriele Dadati ci accompagna nei luoghi di Secondo e del suo successo, popolare e locale

A spasso per la Romagna sulle note di Casadei

Nonostante che il liscio mi piaccia pochissimo questo libro mi è piaciuto moltissimo: miracoli della letteratura. Fosse stata una biografia erudita, un tomo specialistico ingombro di valzerini, polke e mazurke non sarei arrivato a pagina 10, e invece Gabriele Dadati aveva intenzioni altre: «Volevo vedere i luoghi della vita di Secondo Casadei, il padre della musica popolare, il compositore di Romagna mia. E volevo farlo con mamma, che è di Cesena». Si è già capito il tono. Dadati è un bravo ragazzo, piacentino nemmeno quarantenne, e sebbene Secondo Casadei, Romagna mia e io (Baldini + Castoldi, pagg. 272, euro 18) abbia qualcosa del new journalism non bisogna aspettarsi le droghe di Hunter S. Thompson, gli attici di Tom Wolfe, gli eccessi di Truman Capote, i divismi di Oriana Fallaci... Basti dire che il viaggio, o viaggetto, in Romagna viene compiuto a bordo di una Punto blu a metano. Il glamour non fa per lui come non faceva per Casadei, definito nel sottotitolo «genio semplice» e proprio questo era il figlio del sarto di Sant'Angelo di Gatteo, nemmeno un paese ma una frazione, una borgata da qualche parte fra la via Emilia e un mare prebalneare.

Quella del liscio (a pagina 42 le ipotesi sul nome incongruo di una musica al contrario mossa, frizzante, per nulla piatta) è stata l'epopea di una Romagna minore, una Romagna senza Rimini, senza Riccione, senza Milano Marittima e quasi senza Forlì, Faenza, Ravenna. Non a caso una delle canzoni più note del nipote e continuatore, Raoul, si intitolava La mazurka di periferia. La prima balera, il Capannone Brighi, aprì nel 1910 a Bellaria, allora per l'appunto una frazione. Casadei salì sul palco per la prima volta a Borella frazione di Cesenatico (alla Società di Mutuo Soccorso, una specie di dopolavoro). E poi un concerto dietro l'altro in luoghi quali Fiumicino frazione di Savignano, Montaletto frazione di Cervia, Case Finali frazione di Cesena che però, in quel mondo piccolo, non meno piccolo del mondo emiliano di Guareschi, rivestivano un'importanza incredibile: «Case Finali in quest'epoca era considerato come la Scala di Milano, per noi. Chi poteva aver successo lì entrava nella grazia di tutti i paesi dei dintorni» scrisse il musicista nel suo diario.

Romagna mia venne composta in una frazione, precisamente a Gatteo Mare dove Casadei possedeva una casa semplice com'era semplice lui e infatti il titolo originale di questa canzone tanto nostalgica e patriottica (ma di una patria minuscola) era Casetta mia. L'ultimo commovente concerto, nel 1971 poche settimane prima di morire, si tenne a Porto Fuori frazione di Ravenna. Insomma una poetica della frazione, un'estetica popolare ma non nazionale: del casolare, piuttosto. Nato in un mondo in cui si portava ancora la capparella, ossia il tabarro, in cui si dava del voi ai genitori, in cui il mezzo di trasporto più diffuso era la bicicletta (il libro è pieno di pedalate notturne o sotto la neve), in cui i contratti venivano festeggiati coi bicchierini di Vecchia Romagna, Secondo Casadei uscì di scena al tempo dei Led Zeppelin. Ma non da dinosauro obsoleto bensì da venerato maestro, un musicista intergenerazionale come dimostrano gli applausi ottenuti al Festivalbar a pochi minuti dall'esibizione di Lucio Battisti.

Pensare che gli anni difficili non erano mancati e Dadati li racconta bene, facendoci respirare l'instabilità del successo artistico, la pesantezza della vita del musicista leggero (ancorché definito «lo Strauss di Romagna»). Il problema non furono gli anni della gavetta, breve, ma quelli della guerra quando i balli vennero sospesi, le orchestre si sciolsero e il genio semplice dovette posare il violino e riprendere in mano ago e filo, per cucire vestiti ai contadini come gli aveva insegnato il padre. E forse ancor peggiori gli anni del dopoguerra quando la sua amatissima terra sembrò voltargli le spalle. Valzer, polke e mazurke rappresentavano il passato, tutti volevano il boogie portato dai vincitori americani. Nel 1947 venne contestato al circolo repubblicano di Forlì: «Un coro di fischi e urla mi costringe a piantarla. Mi sarei messo a piangere».

Fu lì lì per gettare la spugna tuttavia tenne duro e gli andò bene, lo aspettava nel 1954 il successo mondiale di Romagna mia, tradotta in un mucchio di lingue, coverizzata perfino dai Deep Purple e canticchiata perfinissimo da Papa Giovanni Paolo II (lo riporta un cardinale, bisognerà crederci).

Ebbe una vecchiaia onorata e pure scanzonata grazie a Renzo Arbore che nel suo programma radiofonico Alto gradimento trasmetteva spesso Io cerco la morosa, musica di Secondo, parole di Raoul e che parole: «Io cerco la morosa, / la voglio romagnola, / la cerco verginella, / la cerco campagnola». In quella Italia si poteva ancora scherzare, non si finiva impiccati per una parola... Anche a chi il liscio piace pochissimo il libro di Gabriele Dadati farà sospirare e dire: «Sento la nostalgia d'un passato».

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