Spettatore riluttante, da Molière a «Rischiatutto»

Articoli e contributi su teatro e grande o piccolo schermo. Caustici e profetici

Daniele AbbiatiIntroverso e per conseguenza antispettacolare come era, Giorgio Manganelli aveva del teatro, del cinema e della televisione una visione esclusivamente letteraria. Erano, per lui, tutti testi da leggere, una babelica e straniante biblioteca visiva, uditiva e persino olfattiva, si trattasse di Shakespeare, di Monicelli o di Rischiatutto. Infatti non sopportava il pubblico, terzo incomodo che s'interpone fra l'opera e il suo fruitore-lettore. «Mi irrita che a teatro ci siano attori e pubblico. Cominceremo dunque, e per tempo, a inchiodare porte e finestre. Se saremo abbastanza tempestivi, riusciremo a tener fuori anche gli attori, tolti quegli smagriti lemuri che il paziente esercizio abbia reso idonei a insinuarsi per le imperfette commessure». Così inizia Cerimonia e artificio, il contributo apparso su Il Verri del marzo 1967 con cui Manganelli partecipò a un dibattito sul rapporto fra teatro e letteratura. Opportuno, quindi, il titolo Cerimonie & artifici con cui l'editore Nino Aragno pubblica la (anti)spettacolare silloge manganelliana composta da articoli, recensioni, interventi di quello spettatore oltremodo riluttante (pagg. 188, euro 12, prefazione di Lietta Manganelli, in libreria dal 29 dicembre). «Applaudire sarebbe come applaudire il prete a messa, perché gli è riuscita bene la transustanziazione. Il pubblico ha un suo destino di attiva passività», scrive sempre in quell'occasione. E ancora, su L'Espresso dell'8 dicembre 1974: «la cosi detta cultura poco o nulla serve all'intelligenza del teatro; ed anzi; la cultura, come oggi si intende, quella cosa che ci viene dalla scuola, non serve a capire assolutamente nulla, ma solo a degradare l'esperienza a informazione». Se ciò vale, poniamo, per Molière o Ibsen, vale per Bernardo Bertolucci e per Mike Bongiorno... Quanto al regista, magistrale il pezzo qui agghindato con il titolo «Esame da giornalista» (lo proponiamo in questa pagina): è il tema vergato dal Nostro per superare le forche caudine dell'esame di Stato che apriva (e apre) le porte dell'Ordine dei giornalisti. Manganelli, una volta sistemata l'occhiuta e miope censura che aveva colpito il film Novecento, stronca senza pietà la pellicola, a suo dire didascalica e bozzettistica.

E quanto al popolare presentatore-imbonitore, capostipite di una inesauribile pletora di allievi-imitatori, non se la prende con lui alla maniera di Bianciardi o di Eco, bensì sottolinea i ruoli da «personaggi» affidati ai concorrenti, ben lieti di spersonalizzarsi in una dimensione attoriale sulla scena del quiz in cui il premio più ambìto è quello immateriale della celebrità. Con ciò cogliendo in pieno il senso del mezzo televisivo in quanto tale.

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