Stagnazione, zastoj in russo. Questo è il termine con cui è passato alla storia il governo di Leonid Breznev in Unione sovietica (1964-1982). Ed è su questo periodo che si concentra il quarto volume della collana che il Giornale dedica alla storia del comunismo: L'Urss dal trionfo al degrado 1964-1991 di Andrea Graziosi (a euro 11,90 più il prezzo del quotidiano). Anche dopo la morte di Stalin i retaggi del suo sistema dirigista e violento avevano continuato a lasciare il segno. Nikita Krusciov, a partire dal 1956 aveva cercato di intraprendere un nuovo corso. Di certo aveva iniziato il processo per mettere in chiaro i crimini staliniani (dei quali era stato per altro anche partecipe) ma dal punto di vista internazionale la sua restò una politica aggressiva caratterizzata dalla repressione in Ungheria, proprio nel 1956, e dalla crisi dei missili a Cuba.
Il governo di Breznev, salito al potere proprio sgambettando Krusciov dopo la crisi dei missili, puntò ad una gestione prudente. Breznev, come spiega Graziosi era prevalentemente un burocrate, molto lontano dal culto della personalità dei suoi predecessori. Con lui cessarono del tutto le violenze più eclatanti. Gli esclusi dalla lotta per il potere smisero di essere spediti in un Gulag, al massimo vennero messi a fare gli ambasciatori. Vennero tentate anche timide aperture alla proprietà privata, soprattutto in agricoltura. Ma tutto questo venne fatto senza intaccare l'ipertrofico e disfunzionale apparato burocratico sovietico. Anzi.
E fu proprio questo ripiegarsi sull'apparato che vanificò ogni speranza di riforma nonostante con Breznev iniziassero a farsi strada uomini come Gorbaciov e El'cin che avrebbero avuto un ruolo chiave nella perestrojka. Ma il paradosso fu che, proprio mentre il regime diventava meno disumano, i suoi disastri economici divennero devastanti.
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