Certo il «pitch», come lo chiama lo stesso regista Leonardo Pieraccioni, insomma il soggetto, funziona: Don Simone è un prete di una parrocchia che cade letteralmente a pezzi. Un giorno riceve dal notaio la notizia dell'eredità di uno zio che gli ha lasciato in Svizzera un'attività da quasi due milioni di euro l'anno di fatturato e che quindi potrà servire per mettere in sesto la chiesa, Quando andrà a conoscere di persona la situazione scoprirà però che si tratta di un avviatissimo bordello.
Ecco, in poche parole, Il sesso degli angeli, nelle sale dal 21 aprile, quattordicesima regia di Leonardo Pieraccioni che ha scritto la commedia con Filippo Bologna: «Con lui svela il regista che a 57 anni dice di star diventando più riflessivo stavamo lavorando a un altro film quando il produttore mi ha chiesto come stava andando. Gli ho risposto tutto bene anche se l'idea di base non era poi così accattivante come poteva esserlo, ad esempio, quella di un prete di provincia che ereditava un bordello in Svizzera». Detto fatto, ecco l'invenzione di Don Simone, ovviamente interpretato dallo stesso Pieraccioni, prete alla buona amato dai parrocchiani, un po' meno dalla curia, che cerca di immaginare attività polivalenti nella sua parrocchia ma non ha i soldi nemmeno per riparare il buco che si è venuto a creare dopo un crollo al centro della sua chiesa. Proprio tra la polvere che si è alzata, spunta il notaio foriero dell'insperata eredità dello zio Waldemaro che ha le fattezze del grande amico e sodale del regista, Massimo Ceccherini.
Il viaggio in Svizzera, insieme a Giacinto, il sagrestano interpretato da Marcello Fonte vera e propria spalla comica del film, gli farà scoprire il bordello, legale, che ereditato con uno stuolo di donne bellissime capitanate dalla maîtresse Sabrina Ferilli.
La commedia degli equivoci tocca qui i suoi punti più alti perché Don Simone, senza pensarci, si presenta in «borghese» e, quando capisce in che guaio si è messo, non può più dire la sua vera «professione» e allora, racconta Pieraccioni, «si industria subito per cercare di redimere le peccatrici e convincerle a smettere».
Ma, naturalmente, avviene anche il contrario, e cioè che Don Simone viene messo a dura prova nella sua castità soprattutto dal personaggio di Sabrina Ferilli che sembra invaghirsi di lui. Come se non bastasse gli appare in sogno lo zio Waldemaro che, in toscano (ma si capisce) gli consiglia, in maniera un po' blasfema, di smettere gli abiti talari e di dedicarsi, di fronte a tutto quel bendidio, a «puppare la pera».
Così, uscendo un po' dal film che ha dei toni anche da favola per cui è classificato «per tutti», ecco che la questione del celibato dei preti è risolta da Pieraccioni in quattro e quattr'otto: «Sì devono assolutamente sposare». Stessa identica convinzione sulla legalizzazione della prostituzione: «Sono favorevole alla riapertura delle case chiuse. Per preparare il film ho conosciuto in Svizzera il direttore di ben quattro strutture che mi ha fatto capire il valore di un'attività legale che toglie le donne dalla strada e dalle organizzazioni criminali». Anche Sabrina Ferilli, che racconta di aver accettato subito questo ruolo perché apprezza da sempre Pieraccioni «per le sue commedie così romantiche e eleganti», è molto realista nel dire che «la prostituzione non è reato neanche in Italia mentre lo è invece lo sfruttamento e questo fa parte della solita doppia o tripla morale del nostro paese che, per il buon costume, non vuole ammettere che si tratta di una professione e come tale va regolata».
Certo poi, anche nel film, vediamo come le cosiddette «sex worker», interpretate dalle interessanti Gabriela Giovanardi, Eva Moore, Maité Yanes, Valentina Pegorer e Giulia Perulli, sognino comunque sempre un'altra vita: «Questo succede anche nella
realtà conclude il regista certo ci possono essere donne a cui piace questo lavoro ma c'è spesso una notevole base di amarezza e quasi tutte hanno un piano B oppure immaginano di aprire un'attività con i soldi guadagnati».
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