Sul set era se stessa con sensibilità e ironia

Mario Monicelli la definì "fatalona comica". Tanti premi, niente arie ed enorme talento

Sul set era se stessa con sensibilità e ironia

«Monica abbiamo fatto un patto, di non fare giochi di parole». «Se li fai tu però è tutto un altro paio di moniche, buahahahah». «Sarebbe come dire allora: Vitti d'arte, Vitti d'amore, hihihihihi». «La Dolce Vitti; Veni Vidi Vitti, uhuhuhuh». Correva l'anno 1966, di questi giorni, e nella mitica trasmissione Rai Studio Uno il grande Lelio Luttazzi, dialogando con Monica Vitti che non solo stava al gioco spiritoso, ma rincarava la dose della stupidera, le domandava: «Monica mia, tu chi sei veramente?». «Io? Boh! Io sono un'attrice», rispondeva l'immensa interprete, Leone d'oro alla carriera nel 1995 alla Mostra del cinema di Venezia, morta ieri dopo che non appariva più in pubblico dal 2002. Non per scelta ma per «una malattia tipo Alzheimer che si infiltra e sbriciola la memoria», come ha confidato il marito Roberto Russo, 48 anni insieme, sposati nel 2000, che l'ha diretta in Flirt, Orso d'argento nel 1984 al Festival di Berlino, prima dell'addio al cinema nell'insolito Scandalo segreto del 1990 che l'ha vista esordire anche alla regia. «La memoria è una truffa», diceva Monica Vitti e il destino deve averla presa in parola.

Nata a Roma il 3 novembre 1931, trascorsa l'infanzia a Messina e ritornata nella Capitale per frequentare l'Accademia d'arte drammatica, dove si è diplomata nel 1953 con Sergio Tofano, Monica Vitti all'anagrafe faceva Maria Luisa Ceciarelli, «che è un po' burino» ironizzava. E così ecco spuntare il nome Monica, dalla protagonista d'un romanzo che stava leggendo, e poi Vitti, «la metà del cognome di mia madre, Vittiglia». Intanto però si doveva accontentare del doppiaggio, perché veniva rimbalzata ai provini: «Ero tutta sbagliata, bionda, alta, secca, il seno non ce l'avevo, avevo la vita larga, e questa voce qui».

Forse solo su questo diversamente inferiore alla Loren o alla Lollo che però non incontrarono mai un Michelangelo Antonioni che, nel 1960, costruisce su di lei L'avventura - i due ebbero una relazione - identificandola per sempre nella musa dell'incomunicabilità con La notte (1961), L'eclisse (1962) e Deserto rosso (1964) dove dice: «Mi fanno male i capelli». Con un'inprinting del genere nessuno avrebbe mai pensato che si sarebbe poi trasformata nella «fatalona comica», come la chiamava Mario Monicelli che, con La ragazza con la pistola, nel 1968, le spalanca, combattendo con il produttore che non la voleva, le porte della commedia all'italiana più blasonata. Alla pari dei grandi mattatori maschi - Sordi, Gassman, Tognazzi, Manfredi e Mastroianni - di cui era, diceva il nostro sempre rimpianto Massimo Bertarelli, «la Milady, unica donna tra quei cinque moschettieri che, come spadaccina della battuta, non aveva rivali».

Ecco Monica Vitti, l'attrice che visse due volte, con la sua lunga teoria di personaggi svagati e stralunati - Amore mio aiutami di Sordi, Noi donne siamo fatte così di Risi in cui interpreta dodici personaggi diversi, Teresa la ladra di Carlo Di Palma - in cui lo spettatore identificava proprio l'attrice, in un gioco tra arte e vita efficacemente sintetizzato da Marcello Marchesi: «Monica Vitti è una matta che si crede di essere Monica Vitti». Negli anni '70 ottiene quattro dei suoi sei David di Donatello per Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa di Marcello Fondato, Polvere di stelle di Sordi, L'anatra all'arancia di Salce e Amori miei di Steno con cui lavora anche in Il tango della gelosia nel 1981, anno in cui ritorna sul set con Antonioni per Il mistero di Oberwald.

Ma è con Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) di Ettore Scola che vogliamo chiudere il nostro ricordo.

Perché ci parla di un'epoca, era il 1970, in cui un'attrice si doveva tenere «il mio naso sbagliato» e perché si poteva scrivere un dialogo autoironico così (da immaginare ovviamente con la sua voce unica), con la protagonista Adelaide che, innamorata contemporaneamente di due uomini, Nello e Oreste, nonostante quest'ultimo la corcasse di botte, chiede al dottore: «Ma di che natura è il mio male? Ho avuto un trauma, sono sotto shock, ho avuto un disturbo neurovegetativo, o è perché sono mignotta?».

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