Il suo "Passepartout" aprì le porte della tv alla grande cultura

Snobbato da molti ma amato dal pubblico, per un decennio andò in onda su Raitre

Il suo "Passepartout" aprì le porte della tv alla grande cultura

Addetti ai lavori a parte, ben pochi conoscevano il mestiere di storico e critico d'arte, che non è compreso in nessun album professionale. Quasi nessuno ricorderà che Giulio Carlo Argan fu sindaco di Roma, eppure il ricco patrimonio culturale del nostro Paese ne avrebbe avuto così bisogno di esperti, appassionati, conoscitori. Forse a Philippe Daverio sarebbe stato giusto assegnare il ministero della cultura, lui che parlava tante lingue, erudito e insieme divulgatore, capace di comunicare con chiunque e di scelte controcorrente e coraggiose.

Era malato da tempo ed è scomparso ieri mattina a Milano, a soli settant'anni che sembrano pochi per la faccia e l'espressione da ragazzo mai cresciuto, con i suoi abiti ricercatissimi volutamente demodé, tra il dandy e il gentiluomo di campagna, l'uniforme di un uomo si è vestito per uscire anche durante la reclusione - che solo per caso è vissuto tra i due ultimi secoli ma che probabilmente avrebbe preferito attraversare l'Ottocento, per un'idea di arte ancora legata al manufatto di pregio, all'abilità dell'artefice, che si arresta poco prima delle avanguardie.

Nei suoi libri ne ha scritti tanti, i più recenti pubblicati come strenne natalizie ricche di immagini, aneddoti, curiosità, dai titoli subito ficcanti e indovinati Ho finalmente capito l'Italia. Piccolo trattato ad uso degli stranieri (e degli italiani), Grand Tour d'Italia a piccoli passi. Oltre 80 luoghi e itinerari da scoprire, La mia Europa a piccoli passi, usciti per Rizzoli fino al recente Racconto dell'arte occidentale. Dai Greci alla Pop Art, pubblicato da Solferino - si rivela la cultura enciclopedica mai specialistica, che faceva storcere il naso agli accademici. Nato a Mulhouse, in Alsazia, nel 1949, apolide ma comunque milanese (anche se non mancò di definire brutta la sua città) si vantava di aver studiato alla Bocconi senza essersi laureato, e già questo la dice lunga sul suo snobismo rispetto ai canali ufficiali dell'istruzione.

L'arte per Daverio è stata passione personale e insieme capacità di parlare al pubblico. Primo mestiere, il gallerista. Nel '75 aprì uno spazio in via Montenapoleone, quindi nel 1986 a New York per poi tornare a Milano, in corso Italia, occupandosi prevalentemente di pittura del primo 900. Anche il provenire dal mercato gli attirò qualche sospetto, in un Paese dove la maggior parte dei critici condiziona le scelte dei collezionisti e incassa interessanti percentuali, Daverio fece tutto alla luce del sole.

Seconda eresia, la più estrema: tra 1993 e 1996 fu assessore alla cultura della giunta Formentini a Milano, apparentandosi pur da indipendente alla Lega e dunque al centrodestra. Apriti cielo, chiunque, tra i pochi, si fosse permesso di trattare la cultura oltre il dominio della sinistra veniva trattato come un paria. Scelte che si pagano con l'autoisolamento dal salotto buono e a cui si può rispondere solo attraverso la popolarità, peraltro crescente, suggellata dalla divisa daveriana: papillon su camicie a righe e quadretti, abito a tre pezzi, calzino in tinta con la pochette, un'esplosione ardita di tinte a contrastare il total black dei contemporaneisti.

Torniamo alla politica. Difficile affermare che Daverio sia stato organico alla destra (sosteneva semmai fosse stata la Lega ad aver sposato le sue idee) e infatti anni dopo si candidò con Filippo Penati a sinistra e, nel 2019 sostenne l'europeismo di Emma Bonino. Sembra che per l'intellettuale cambiare idea sia normale, il giorno che ne troveremo uno disposto coerentemente a restare a destra avrà il nostro plauso incondizionato.

Tuttavia la vera forza di Philippe Daverio fu nella televisione. Passepartout è stato a lungo il miglior programma di arte e di cultura trasmesso in Rai, dove il conduttore vestiva i panni di eccezionale guida turistica per far scoprire agli italiani le più incredibili bellezze nascoste. Andò in onda su Rai Tre per dieci anni, in fasce orarie spesso proibitive, eppure seguitissimo da un pubblico molto vasto, desideroso di conoscere e imparare. Venne chiuso nel 2011 senza nessuna ragione particolare, fortunatamente molto dell'immenso materiale raccolto è finito nei suoi libri.

Un ricordo personale, infine. Non credo per disistima nei miei confronti, Daverio prese male la mia nomina al Padiglione Italia per la Biennale del 2009. Mi attaccò sui giornali sostenendo capissi ben più di calcio che di arte. Ne seguì qualche schermaglia, poi sfumata. Lo rincontro anni dopo e basta una stretta di mano e una buona a cena annaffiata dal gin tonic (che amava molto) per dimenticare.

Gli racconto del mio libro in uscita, argomento l'arte italiana ai tempi di Silvio Berlusconi e lui, generosamente, mi regala il titolo geniale che ancora non avevo: «nati sotto il Biscione». E dunque gli devo ancora un grazie e la speranza, nell'addio, che vada a spiegare in paradiso quanto è bella l'Italia.

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