Torna Clint Eastwood per lottare ancora con il tempo che passa

L'attore sullo schermo in una pellicola coraggiosa dove riflette sulla fragilità

Torna Clint Eastwood per lottare ancora con il tempo che passa

Per lui non esiste il concetto di andare in pensione. Clint Eastwood, la sacca di resistenza in un'industria, quella cinematografica, che premia solo chi vota democratico, ha ancora voglia di girare film, nonostante i suoi 91 anni di età (è nato il 31 maggio del 1930).

Anzi, questa volta, con il nuovo Cry Macho, uscito qui, in America, lo scorso weekend, con ottimi risultati al botteghino (in Italia, si spera di vederlo ad ottobre), il Texano dagli occhi di ghiaccio ha voluto non solo mettersi dietro la cinepresa, ma anche davanti, interpretando la pellicola. E ci troviamo di fronte all'ennesimo titolo riflessivo di un Eastwood che, negli ultimi anni della sua lunga filmografia, ha deciso di fare i conti con se stesso, come il protagonista di questa storia che è l'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo, datato 1975, scritto da N. Richard Nash, che è anche autore della sceneggiatura insieme a Nick Schenk. Un film che Clint voleva fare da tanti anni, rifiutandolo, quando ne aveva 58, ritenendosi, allora, troppo giovane per la parte da protagonista. Un progetto strano, che ha circolato negli studi dei produttori per più di quarant'anni.

Ad un certo punto, Eastwood avrebbe dovuto girarlo, ma come interpreti, prima Robert Mitchum e poi, via, via, Roy Scheider, Pierce Brosnan, Burt Lancaster e Arnold Schwarzenegger rifiutarono la proposta. «Sono stato tante cose, adesso non sono più nulla», dice il protagonista Mike Milo, una volta grande star dei rodei nel Texas e ora in pensione dopo un brutto incidente, tra depressione e alcolismo. Siamo alla fine degli anni Ottanta e Mike, addestratore di cavalli, è a corto di denaro, in cerca di un guadagno facile. Per questo motivo, anche per riconoscenza nei suoi confronti, decide di accettare la proposta del suo ex capo (che lo aveva licenziato, ma che ora gli affida l'incarico), quella di andare in Messico e riportare, in Texas, il figlio (Eduardo Minett), mai voluto, dell'uomo, che, al momento, vive con una madre (una sorta di boss messicana), schiava dell'alcol e dal letto facile. Il ragazzo, che divide il suo tempo tra i bassifondi (furti e combattimento di galli) e il villone di mammà (che lo fa picchiare ed abusare dal fidanzato di turno), si illude che il padre, finalmente, si ricordi di lui e lo voglia con sè. Clint/Mike si presenta dalla donna che, dopo aver cercato di circuirlo, lo invita ad andarsene per non ritrovarsi sottoterra. Mike, in ogni caso, porta con sé il ragazzo e il suo gallo (che si chiama Macho, e il nome non è casuale), iniziando un viaggio sulle strade impolverate, tra (dis)avventure (c'è il solito atto d'accusa a quella parte di polizia corrotta) e inseguimenti, fino all'arrivo in un piccolo villaggio dove conoscerà una bella vedova che si innamorerà di lui, suscitando l'ilarità, non casuale, dell'Hollywood Reporter: «È sull'orlo del ridicolo vedere che, non una, ma due attraenti señoritas, una cattiva e loca, l'altra quasi una santa, zompare su ossa artritiche».

Invece, il viaggio e tutto quello che ne consegue sono un'evidente sfida di Clint al tempo che passa, con in testa il suo cappello da cowboy. Certo, alcune scene fanno tenerezza perché inverosimili. Però, il mettere il suo corpo affaticato, dal passo lento e, a volte, incerto, al centro dell'inquadratura, senza omissioni, è un modo di affermare che, nonostante l'età, lui è ancora Clint Eastwood. Quanti anziani, del resto, vogliono dimostrare, a se stessi e agli altri, di saper fare ancora le stesse cose di molti anni prima?

Ecco, quello di Clint è un invito a non abbandonarsi alle leggi dell'età, a sfidare quelle della natura, a non sotterrarsi prima del tempo, a lasciarsi ancora catturare da sentimenti come l'amore, a vivere i propri giorni senza guardare alla carta d'identità. Un eroe solitario come se ne sono visti tanti nel cinema di Eastwood, che si muove su auto scassate come il suo fisico, invece che a cavallo come accadeva in pellicole passate. Una sfida vinta? Forse. Nel villaggio che lo ospita, trasformatosi in una specie di San Francesco che cura gli animali, davanti a un cane che gli viene portato, Clint esclama: «Non riesco a curare la vecchiaia».

E forse, in quella frase, nonostante l'evidente sfida al tempo che trascorre, di cui sopra, c'è anche la consapevolezza che, più passano gli anni, più si deve accettare l'ineluttabilità della morte. Che, per chi ama Eastwood come i lettori di questo giornale, speriamo avvenga il più tardi possibile. Girane ancora, Clint.

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