Figura di spicco del modernismo americano insieme a Ernest Hemingway e T. S. Eliot, il romanziere, saggista e giornalista John Dos Passos, nato nel 1896, arriva in libreria con USA, la trilogia composta dai tre romanzi Il 42° parallelo (1930), Millenovecentodiciannove, (1932) e Un mucchio di quattrini (1936) per la prima volta edita in Italia in unico volume (Mondadori, traduzioni di Cesare Pavese e Glauco Cambon, pagg. 964, euro 35). Un'opera immensa e geniale, un affresco unico nel panorama della letteratura americana: Dos Passos descrive la trasformazione degli Stati Uniti in potenza mondiale, ma soprattutto la lotta tra classe operaia e ceti dominanti; tutto questo però dal punto di vista di un autore che diffidava sempre più del ruolo di guida del proletariato mondiale che l'Unione Sovietica si andava arrogando proprio negli anni Trenta. Ma USA è anche la presa di coscienza dell'impatto dei media sull'immaginario collettivo, che si materializza nelle sezioni denominate «Cine-giornale», collage di notizie giornalistiche, titoli di quotidiani, versi di canzoni; e per il suo carattere di autobiografia cifrata, incarnata nelle sezioni «Occhio fotografico», che presentano episodi della vita di Dos Passos attraverso la tecnica del flusso di coscienza.
Lo scrittore che, come Hemingway, è stato autista di ambulanze durante il primo conflitto mondiale e corrispondente estero nella Spagna lacerata dalla guerra civile negli anni Trenta, già dai primi romanzi si fece notare per lo stile innovativo della scrittura, che nella trilogia troverà la propria summa. Figlio di un facoltoso avvocato di origine portoghese, nato a Chicago nel 1896 e morto a Baltimora a 74 anni, nel 1970, ha frequentato l'Università di Harvard e antropologia alla Sorbona di Parigi. Dos Passos usa tecniche di scrittura sperimentali, inserendo ritagli di giornali, autobiografia, biografia e finzione realista per dipingere un panorama della cultura americana durante i primi decenni del XX secolo.
Anche se ciascun romanzo è autonomo, la trilogia è progettata per essere letta come un'unica epopea americana, una odissea made in Usa tra luci e ombre di un Paese che ha esportato non tanto la democrazia - come già aveva scritto Alexander De Tocqueville nel suo profetico La democrazia in America (1835, Rizzoli)-ma un capitalismo sfrenato, senza principi se non il guadagno. Ma rendendosi conto, dopo un passato con simpatie marxiste, dell'incolmabile esistente tra idea e prassi comunista, già a metà degli anni Trenta lo scrittore cercherà di indirizzare le sue attitudini libertarie verso sponde liberali di destra. «U. S. A. è una fetta di continente. U. S. A. è un gruppo di società madri, alcune aggregazioni di sindacati, un corpo di leggi rilegato in pelle di vitello, una rete radiofonica, una catena di cinematografi, una colonna di quotazioni borsistiche cancellata e riscritta da un ragazzo della Western Union sopra una lavagna, una biblioteca pubblica piena di vecchie riviste e sgualciti libri di storia con proteste scarabocchiate a matita sui margini. U.S.A. è la più grande vallata del mondo frangiata di monti e colline. U.S.A. è una sequela di funzionari dalla bocca grossa e con troppi conti in banca. U.S.A. è una quantità di uomini sepolti in divisa al cimitero di Arlington. U.S.A. sono le iniziali che si appongono in calce all'indirizzo quando si scrive dall'estero. Ma più che altro USA. è la parlata del mondo».
La trilogia racconta, infatti, i primi trent'anni del XX secolo americano e lo scrittore opera uno scavo storico, culturale e linguistico nelle radici nazionali della Grande depressione; mette a nudo i costi inflitti al tessuto sociale e psicologico del Paese da una modernizzazione senza uguali; e traccia la parabola del fallimento di una democrazia che ha tradito i propri ideali di uguaglianza, libertà, giustizia, opportunità, sacrificandoli ad mucchio di quattrini. Alla geografia del paese da costa a costa, allo scandaglio della società in tutti i suoi strati s'intreccia la ricostruzione storica che, affiancando cronache minute e quotidiane dei personaggi di fantasia biografie di personaggi emblematici tratteggiando i grandi fenomeni politici e di pensiero del trentennio. Dal banchiere J.P. Morgan all'architetto Frank Lloyd Wright che per Dos Passos è «il primo architetto a progettare costruzioni secondo il futuro dell'America, non secondo il passato dell'Europa»; dalla rivoluzionaria danzatrice Isadora Duncan a Rodolfo Valentino, da Rockfeller a Henry Ford. Per comporre un tableau così complesso, Dos Passos sperimenta diverse modalità narrative: le vicende di dodici personaggi inventati; le brevi biografie di ventisette americani famosi; cine-giornali che interrompono le narrazioni con slogan pubblicitari, testi di canzoni popolari e titoli dei giornali; e vertiginosi squarci di riprese fotografiche o cinematografiche, passaggi joyciani in cui l'autore registra la propria vita sensoriale, vere e proprie incursioni nella soggettività. Il risultato è un'opera unica, una vera enciclopedia del continente americano, capace di misurarsi con il respiro epico di una nazione-mondo e con i suoi miti fondativi.
Amato da Italo Calvino e Cesare Pavese malgrado non lo avesse inserito nella sua celebre Antologia americana, venerato da Jean Paul Sartre che nel 1947 scrisse di considerare «Dos Passos il più grande degli scrittori del nostro tempo», sino ad oggi è stato dimenticato malgrado l'enorme influenza che ha avuto su scrittori come Philip K. Dick o Don De Lillo. La speranza è che con questo romanzo continente venga finalmente riscoperto.
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