"Un'ora sola vi vorrei per ridere di tutto. Anche delle cose brutte"

Il comico martedì su Raidue in prima serata: "Con buon gusto non ci sono limiti all'ironia"

"Un'ora sola vi vorrei per ridere di tutto. Anche delle cose brutte"

Una risata vi solleverà. E poco importa che questi tempi bui a tutto invitino fuorché al divertimento: «Si può far ridere su qualsiasi cosa. Anche sul dramma. Magari ne verrà fuori una risata amara, come del resto è nella tradizione della commedia all'italiana. Ma quel che conta è soprattutto raccontare la realtà. Magari ridendoci su». Insomma Enrico Brignano non teme, da martedì su Raidue con la seconda serie di Un'ora sola vi vorrei, d'ironizzare tramite monologhi, musica, note di costume e racconti seri su temi tutt'altro che comici quali la pandemia, il Covid, i vaccini E via attualizzando.

A cominciare dalle zone rosse pasquali, immagino.

«Proprio così. Aprirò la prima puntata con una riflessione sulle festività che ancora una volta siamo stati costretti a vivere da reclusi. La prima ospite, la comica Marta Zoboli, vestirà i panni di un'esperta di vaccini. E assieme a Flora Canto, nella tradizionale scena del letto ispirata a quelle proverbiali di Sandra e Raimondo, commenteremo fatti e misfatti di questi tempi oscuri».

Particolare e inconsueto, perché non strettamente comico, lo spazio che dedicherà ai suoi racconti.

«Sono storie autentiche, spesso incredibili, che aspettavano solo d'essere riscoperte. Come quella del militare nella stanza dei bottoni dalla quale si comandano i missili nucleari sovietici. Un giorno scatta l'allarme: sette testate nucleari statunitensi stanno per raggiungere il suolo russo. Il militare ha già il dito sul bottone che farà esplodere un conflitto atomico. E solo 15 secondi per decidere se schiacciarlo o meno. Ma lui sceglie di non schiacciarlo. Per scoprire, subito dopo, che l'allarme era scattato per errore».

E cosa c'è di comico, in tutto questo?

«A raccontarlo così, niente. Ma io sono un cultore della comicità di situazione: quella che nasce, cioè, dall'assurdità dei fatti, anche i più drammatici. È possibile trovare dei risvolti comici perfino dentro una storia come questa? Sì. Di qualsiasi cosa si può ridere».

Sicuro? Non ci sono argomenti che, per loro stessa natura, rifiutano l'ironia, la satira, lo sberleffo?

«Ripeto: si può ridere di tutto. Ma con giudizio. Il vero problema del comico infatti è il linguaggio; non i temi. Può ironizzare su qualsiasi cosa ma ricordando sempre che l'ironia è un bene prezioso: va dosato con cura. E poi, davanti a certi temi, deve subentrare il senso della misura, il giudizio, il buon gusto».

Cosa pensa dei comici televisivi d'oggi? Non le sembrano troppi? La quantità ne abbassa forse la qualità?

«Se in tanti desiderano divertire, questo è solo un buon segno. Sembrano troppi perché si sono moltiplicati i canali di comunicazione: e lo spettatore che ricorda quando quelli famosi erano solo tre o quattro, scuote la testa: Non ci sono più i comici di una volta!. Poi però è il tempo, a fare la differenza fra quelli destinati a durare e quelli solo stagionali; fra chi ha una vera personalità comica e chi pratica una comicità solo aggressiva, che funziona il primo mese ma già al secondo s'è sgonfiata. E spinge inevitabilmente all'oblio».

Nei periodi più bui, come durante la guerra, la voglia di ridere aumentava. Col Covid succede lo stesso?

«Non c'è dubbio. E quanto più sei privato di una cosa tanto più la desideri. È come per la musica dal vivo: quando quest'estate, dopo mesi di rinuncia forzata, ho sentito una band che suonava a tre chilometri da casa mia, mi sono messo a seguire quei suoni come attratto da un pifferaio magico. Allo stesso modo il mio spettacolo teatrale ha continuato a vendere biglietti perfino quando i teatri erano chiusi. La gente non vuole arrendersi, non vuole disperare. E anche una risata può servire allo scopo».

A proposito di risate e di dolore: cinque mesi fa ci lasciava il suo maestro, Gigi Proietti.

«Quando nel 2011 persi mio padre, Gigi mi disse una cosa che non mi aspettavo. «L'unico modo che hai per alleviare questo dolore è ringraziare.

Dire grazie a tuo padre per averti messo al mondo; per averti insegnato tutto quello che sapeva; per averti fatto diventare la persona che sei. E ringraziare chi te l'ha donato». Ecco: ringraziare è stato il modo in cui io ho cercato di alleviare il dolore per la perdita di Gigi».

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