"Vi racconto il lato oscuro del regime di Fidel Castro"

Con "Ritorno a L'Avana" Laurent Cantet mette in scena il dramma della generazione di cubani cui il dittatore ha tolto il futuro

"Vi racconto il lato oscuro del regime di Fidel Castro"

È curioso, la parola «patria» non viene mai pronunciata. Forse perché non è politicamente corretta o magari perché c'è il timore che si confonda con il nazionalismo. Mentre il film Ritorno a L'Avana del francese Laurent Cantet (il regista di Risorse umane e La classe , Palma d'oro a Cannes nel 2008), da domani nelle sale, è un canto profondo proprio del sentimento di «patria». Non a caso il titolo originale recita Retour à Ithaque , la patria per eccellenza, quella dell' Odissea di Ulisse che è anche quella di Amadeo, il protagonista del film sceneggiato dal regista insieme allo scrittore Leonardo Padura, rientrato a Cuba dopo 16 anni di esilio a Madrid. Un evento che festeggia con i quattro amici di sempre su una terrazza sui tetti della capitale dell'isola. Nel presente e nei ricordi, i sogni, le speranze e le disillusioni. Insomma il lato B del regime castrista attraverso il racconto di una generazione, quella della fine degli anni '50, «che ha vissuto in pieno - dice il regista di passaggio a Roma - il periodo speciale decretato da Fidel Castro a partire dal 1992: una decina di anni durante i quali ognuno ha conosciuto la fame e terribili privazioni, una vera e propria economia di guerra in tempo di pace, un inasprimento politico voluto per contenere l'emergere di frustrazioni e malumori. Per molti di loro il sogno si è interrotto in quel momento, insieme al dolore di dover mettere una croce su gran parte della loro vita. Altri hanno tentato di adottare una posizione critica, ma allora fu interpretata come tradimento. Altri ancora son partiti e vivono in esilio, in Spagna o negli Stati Uniti, il paese nemico».

Nel film, non a caso, torna spesso la parola «paura».

«È qualcosa di cui i cubani parlano spesso. È una paura diffusa, una dimensione fisica. La sensazione però è che oggi stia un po' scomparendo, i cubani sono pronti a mettere in discussione lo stato delle cose e hanno meno timori a essere critici. Così anche il protagonista si sente che può rimanere nella sua isola».

C'è anche il tema del ritorno in patria, alle proprie origini condivise.

«La parola patria per me non ha molto significato. Volevo raccontare una storia cubana toccando sentimenti universali. Come quelli della disillusione, della delusione, dell'amarezza. Io stesso mi sento molto nostalgico dell'epoca in cui mi sembrava di appassionarmi di più ad alcune cose. I protagonisti del film sperano di ritrovare lo spirito di gruppo e la forza dello stare insieme, insomma lo slancio della giovinezza».

Tra i personaggi c'è chi ha fatto la rivoluzione cubana, chi l'ha subita e i giovani che non ne vogliono sentire parlare.

«Io mi identifico, anche anagraficamente, con la generazione di mezzo. Ho capito che a Cuba è accaduto qualcosa di inedito che poi però non è durato. Perché gli ideali non sono mai forti abbastanza per contrastare la dinamica della realtà. Così va il mondo».

E i giovani?

«Il personaggio del ragazzo rappresenta tanti suoi coetanei cubani con cui ho parlato e che vorrebbero andar via e aprire gli orizzonti. Un po' come tutti i giovani del mondo anche se a Cuba la vita non è né semplice né facile. Ma il tema mi appassiona, così il mio prossimo film sarà sul senso di impotenza politica di un giovane nell'Europa in crisi di oggi».

A Cuba aveva già girato un corto, secondo lei come si evolverà la situazione politica?

«Non ho la sfera di cristallo ma mi sembra che i cubani capiscano l'attitudine di Raul

Castro a non voler andare troppo veloce con il cambiamento per non finire magari come la Russia in preda alle mafie e al liberismo spinto. Rimane il fatto che qualche anno fa non avrei potuto girare un film così a Cuba».

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