«C'è un sindacato che fa bene a fare lo sciopero generale, ma lo fa perché c'è la Meloni; quando toglievano l'articolo 18, quando c'era il jobs act, quando c'erano gli elementi strutturali di distruzione dei diritti dei lavoratori, non ha fatto nulla, ha fatto quattro ore di sciopero sulla riforma Fornero che ha ammazzato per 5 anni i pensionati italiani. Probabilmente Landini, come tutti i leader della Cgil, povero Di Vittorio, si sta preparando poi a scalare il Pd, dopo le elezioni, peraltro tutti i sindacalisti quando finiscono di stare su quella poltrona vanno a fare gli eurodeputati. Il governo fa male, ma il sindacato fa ridere».
Quale neofascista avrà mai osato attaccare il segretario generale della Cgil? Proseguo nell'indovinello: «Il dialogo non è un inciampo o un rito. È l'essenza di una democrazia. Il confronto, la collaborazione tra i diversi livelli di governo e le associazioni di categoria è sempre da ricercare. Aiuta a definire interventi efficaci nei vari contesti, a conciliare gli interessi in gioco». Ci risiamo, costui avrà voluto riferirsi allo sciopero del 29? Soluzione del quiz: Marco Rizzo, Democrazia Sovrana Popolare diciamo piccì dei bei tempi, è il censore feroce; Sergio Mattarella, democristiano antico e capo dello Stato, è l'autore di quelle parole che invitano al dialogo.
Maurizio Landini se ne fotte, ormai è l'arruffapopolo che serve alla sinistra in assenza di Schlein-Conte che sono, al suo confronto, politicanti cartonati. Il nuovo lider maximo lancia la rivolta sociale, usa i giornali del padrone capitalista, al secolo Repubblica e Stampa, ma per singolare combinazione o astuta accortezza, evita di concentrare la rivolta contro la situazione delle fabbriche automobilistiche chiuse, quelle dell'ex Fiat - oggi Stellantis - che lascia a casa i lavoratori e, in contemporanea, chiede sovvenzioni al governo per un settore che, sembra una battuta, si è «auto-distrutto». Il Che Guevara di Castelnovo ne' Monti ha esaurito il furore con il quale attaccava il fattore M, al secolo Marchionne, terribile diavolo per gli operai; ora non fiata sui guai giudiziari del padrone delle ferriere e sulle vicende fiscali del medesimo, JE fa fine e non impegna, anzi va ringraziato e usato alla bisogna. Cambiano i tempi, cambiano i governi. Cambia anche Landini Maurizio, lui attacca l'asino dove vuole il padrone, John Elkann appunto.
E sì, è proprio così, il capo dell'allora Fiom, dal combattere costantemente la Fiat di Marchionne ai tempi del referendum sul futuro di Pomigliano (era il giugno 2010 e il sindacato della Cgil ne uscì sconfitto), ora assiste in silenzio al progressivo svuotamento dell'industria italiana dell'auto e dei suoi occupati. Dal 2021, anno della nascita di Stellantis, a oggi, dei 52mila lavoratori ex Fca ne sono rimasti forse meno di 40mila tra uscite incentivate e prepensionamenti. Un'emorragia destinata a continuare. La produzione è all'osso e sopravvive, fin che si potrà, grazie alla cassa integrazione. In settembre, come riporta Anfia, dalle fabbriche sono uscite 25mila automobili (-50,5% sullo stesso mese del 2023); da gennaio il calo è stato del 38,7%, ovvero 256mila vetture prodotte.
Altro che un milione di veicoli, come ipotizzato mesi fa nelle discussioni tra l'ad Carlos Tavares e il governo. Sarà già un miracolo se, tra auto e furgoni, al 31 dicembre la produzione italiana si avvicinerà a quota 500mila. Meglio deviare sui Paesi low cost. E mentre in Europa l'auto elettrica perde terreno con la conseguente crisi di numerose aziende fornitrici (ultima in ordine di tempo la tedesca Gerhardi che lascerà a casa 1.500 persone), Stellantis insiste su questo percorso, in barba agli atteggiamenti più prudenti dei rivali e delle crescenti pressioni politiche per una riconsiderazione dei programmi green che stanno portando al suicidio l'industra europea nel suo complesso.
Entro il 16 dicembre, Tavares dovrà presentare al governo «un piano Italia convincente e sostenibile», visto che quelli esposti finora non lo sono stati. Non basta affermare che Torino ospiterà il quartier generale europeo di Stellantis. In gioco c'è la storia dell'auto italiana e dei suoi marchi: Maserati rischia di sparire, le nuove Alfa Romeo e Lancia sono un'altra cosa, bocciate le Abarth elettriche, Fiat si regge sulla «vecchia» Panda, mentre la 500 ibrida arriverà solo tra un anno a Mirafiori.
Già, c'era una volta Mirafiori: 140 le 500 elettriche prodotte al giorno, in 3mila sono in solidarietà. Dopo le chiusure negli Usa, e quella da poco annunciata nel Regno Unito, a chi toccherà? All'ineffabile Landini, intanto, fa comodo scambiare Giorgia Meloni per Tavares.
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