«Quando guardo verso il futuro mi dico solo. Boh». Eppure Lina Wertmüller, mancata ieri nella sua casa di Roma a 93 anni, di idee e progetti ne aveva eccome. Una conferma Giancarlino, come lo chiamava lei. Quel Giannini, forse la più importante delle sue creature: «Mi ha telefonato ultimamente, dicendo che presto avremmo iniziato un altro film insieme. Ho accettato senza nemmeno sapere di che cosa si trattasse. A un genio non vanno chiesti troppi dettagli. E, senza di lei, io non sarei stato niente. Ero solo l'esecutore della sua creatività». Fervida e brillante. Sempre sul filo di un'ironia pungente e raffinata che è stata la cifra stilistica del suo personaggio, anche quando, nel 2020 targato covid e lockdown, Hollywood le ha reso omaggio con un Oscar onorario alla carriera e una stella sulla Walk of fame «per il suo provocatorio scardinare con coraggio le regole politiche e sociali attraverso la sua arma preferita: la cinepresa».
«Bisognerebbe chiamarla Anna, questa statuetta. O, se proprio volete, Oscarina. Perché un nome maschile e pure brutto». Parole che oggi suonano come autodeterminazione rosa ma con le femministe ebbe il suo bel dire. Anzi il suo bel fare. La elessero a simbolo e, alla prima riunione, lei chiese chi avesse visto il suo Questa volta parliamo di uomini. Nessuna alzò la mano così si alzò e se ne andò. Un bel caratterino, deciso e severo, che Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, nome e cognome lunghi come i titoli di alcuni suoi film, aveva forse ereditato da papà, potentino di Palazzo San Gervasio ma di remote origini aristocratiche svizzere.
Coincidenza di opposti. Serietà e sarcasmo. Austerità monella. L'ex ragazzina che aveva collezionato espulsioni scolastiche, arrivando a undici, era la stessa ad aver indicato «passione e pazienza» come ricetta per il successo a quella platea di Los Angeles che, a 92 anni, la premiava ma nel '77 le aveva rifiutato il riconoscimento, lasciandola con la sola candidatura, seppur sotto forma di poker (regia, film straniero, sceneggiatura e recitazione maschile a Giannini). Non portò a casa niente. Pasqualino settebellezze, il guappo finito nel lager diventato kapò e sbattuto faccia a faccia con il compromesso, non ce l'aveva fatta ma anche quella sera, la bizzarra Lina fece uno scherzo dei suoi. E, sulla poltrona riservatale dall'Academy mandò Lella Kezich con il risultato che ogni inquadratura televisiva era sulla persona sbagliata. Ci fu chi disse che l'Oscar le sfuggì per questo ma lei non diede mai troppo peso.
L'allieva di Fellini - era stata aiuto regista per La dolce vita e Otto e mezzo - non aveva superato il Maestro che lei stessa definì inarrivabile. Però fu la consacrazione. L'affermazione a Locarno per I basilischi, opera di esordio con cui fu acclamata «nuovo genio del cinema» precedeva cult come Mimì metallurgico ferito nell'onore, Film d'amore e d'anarchia - Ovvero Stamattina alle 10 in via dei fiori nella nota casa di tolleranza. Era il 1973 e, oltre alla collaudatissima coppia Mariangela Melato - Giancarlo Giannini, era nata l'era dei titoli sterminati con i quali andava controcorrente a un sistema che voleva in cartellone sempre meno parole.
La Wertmüller ci rideva sopra, come suo costume. E proseguì imperterrita. Vennero La fine del mondo nel nostro letto in una notte piena di pioggia, Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto con l'indimenticabile «Puttana industriale» icona di uno scontro Nord-Sud. E soprattutto Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici. Nel cast un mostro sacro e un amico. Mastroianni altri non era se non il marito di Flora Carabella, la ragazza con cui Lina recitava poesie sul terrazzo. A 16 anni. Finendo sedotte dalla recitazione. Quando i sogni sembrano a portata di mano e, nel suo caso, lo furono.
Il suo carattere schietto ma senza arroganza fece capolino a chi le domandò il solito consiglio per fare il suo mestiere. «Se si ha talento lo si fa, altrimenti». Lei di numeri ne aveva fin troppi e sconfinò. S'inventò Rita Pavone, protagonista maschile en travesti nel televisivo Giornalino di Giamburrasca. Scrisse i testi di uno dei successi di Mina, Mi sei scoppiato dentro il cuore. Firmato con il maestro Bruno Canfora che compose le musiche. Non si sottrasse al doppiaggio, prestando la voce a Nonna Fa in Mulan. Si permise un due di picche a Woody Allen al quale mandò un paio di suoi occhiali in regalo. Fece teatro e si scontrò con Monica Vitti che, al contrario di tutto il cast, fece a pezzi la tuta per indossare uno splendido abito azzurro. Finì che la Wertmüller ridusse a brandelli il vestito e ordinò rammendi alla divisa sportiva. Poi esplose: «Mettiti questa, Ceciarelli, altrimenti ti spacco la faccia» chiamando la musa di Antonioni per cognome. Quello vero, però. A Luciano De Crescenzo morse un dito sul set di Sabato, domenica e lunedì. «L'avevo avvisato di non sottolineare le battute con quell'indice alzato e alla quarta volta rimediai da sola».
A sconfiggerla è stata solo la vedovanza. Non l'accettò mai, lei che per amore del marito adottò la figlia illegittima di lui.
«È nata da Enrico, quindi è figlia mia» rispose a chi le chiese lumi, insinuando stranezze perché Lina aveva 62 anni. E questo è forse il senso della vita. E della sua vita. La definì «una grande festa. E allora festeggiamola».
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