«Capisci, Giulietta, la realtà dei fatti è che sono degli eccezionali reattori per la fusione fredda, anche se loro, le galline, non lo sanno!».
Probabilmente voi siete stati più fortunati di me e non siete stati esposti alle battute dei fisici teorici fin dalla più tenera infanzia, ma, nel caso, questa sarebbe stata la prima descrizione che avreste sentito di una gallina. La battuta, che dovrebbe fare ridere (ma non fa ridere perché le battute dei fisici teorici non fanno mai ridere), è basata sulla constatazione che le galline mangiano sassi con potassio e poi fanno uova munite di guscio con calcio, quindi al loro interno farebbero una fusione nucleare a temperatura ambiente, trasformando i nuclei atomici e riuscendo a realizzare il sogno proibito di qualsiasi fisico: la cosiddetta «fusione fredda». (Ve l'avevo detto che non faceva ridere, eh.)
Quello che invece mi ha subito colpita quando ho guardato per la prima volta una gallina è stato l'occhio (gli animali non umani li guardo volentieri negli occhi, quelli umani proprio no), «l'occhio da Jurassic Park» come lo chiamavo io: «Gli occhi di una gallina sono le ultime vestigia dei dinosauri, un minuscolo varco nella preistoria degli animali con il cervello grosso quanto una noce», come li descrive Jackie Polzin nel suo libro Quattro galline (Einaudi, pagg. 200, euro 17).
E le vere protagoniste del romanzo sono proprio le quattro galline, Miss Hennepin County, Testanera, Gloria e Gam Gam, ognuna diversa, ognuna con i suoi colori e la sua personalità, ognuna con il suo posto in un pollaio che, oltre a costituire l'inaspettato centro della narrazione, diventa una altrettanto inaspettata metafora della vita: «Tutto ciò che entra nel pollaio prima o poi diventa polvere. È una metamorfosi valida per tutte le cose del mondo, ma più veloce per le cose in un pollaio». L'ordine di citazione delle protagoniste galline non è casuale, dato che, anche in un piccolo pollaio del Minnesota, la potenza dell'interferenza naturale (non necessariamente benevola) riesce comunque a farsi sentire, a suon di beccate: «L'organizzazione sociale delle galline rispecchia il loro vantaggio statistico. L'ordine di beccata è dettato dalla natura, ha la stessa crudeltà della selezione naturale. Infatti mi è sempre stato sulle scatole».
Intorno al pollaio, oltre alla voce narrante, ci sono amicizie variegate, vicini perplessi, un orto con cavoli rosicchiati, un quartiere non troppo raccomandabile, un acero agonizzante e un marito accademico, Percy, che sta per i fatti suoi, che esprime il suo affetto con la cieca ferocia dell'abitudine e tutto il resto con la scrittura di libri dai quali la protagonista umana (con mia grande simpatia e comprensione) si tiene alla larga: «Per quanto mi riguarda, cerco di leggerli il meno possibile, ma posso testimoniare che dietro c'è un gran lavoro. I suoi libri sono difficili, dunque noiosi, e a peggiorare le cose Percy è seriamente attratto dalle cose difficili e noiose».
Ma soprattutto, seppellita sotto le manciate di mangime e di piume, c'è una maternità fortemente desiderata, dolorosamente mancata e inevitabilmente invidiata: «Solo una madre sa. È la regola cardinale della maternità e la grande sorgente del potere di una madre. Va da sé che se non sei una madre non puoi sapere nulla».
Vedendo alterata, se non totalmente distrutta, la sorgente del potere materno, alla protagonista umana non resta altro che riversare tutto il suo amore, spesso illogico e incomprensibile (come qualsiasi vero amore dovrebbe essere), nella battaglia senza speranza contro l'entropia e la morte, rivelando un forte parallelismo, che parte dal Minnesota e arriva fino in Messico, con il più recente romanzo dell'autrice sudamericana Guadalupe Nettel, La figlia unica. In entrambi i casi, le battaglie per le figlie mai realmente esistite si concretizzano nei dettagli quotidiani di un eterno presente, che per Polzin sono riassunti nella lucentezza delle piume delle galline: «Oggi le piume delle galline sembrano più lustre che mai. Certo, la luce deriva dalla pulizia, ma non si tratta solo di un fenomeno superficiale. Una piuma che brilla è indice di buona salute, così come la scintilla originaria, quella dell'acqua all'orizzonte, la vera ragione per cui siamo attratti dalle cose che luccicano, era la promessa della vita stessa. Una cosa che smette di brillare è vecchia o malata, e in un caso o nell'altro è vicina alla morte».
E, in fin dei conti, tutto il romanzo è un combattimento (perso in partenza) per tenere in vita le quattro galline, riscaldandole dal gelido inverno senza farle andare a fuoco, cercando di trovare la migliore combinazione di mangime biologico senza farle ingrassare troppo, facendo bagnetti caldi di acqua saponata per fare scivolare fuori uova incastrate in sederi spelacchiati, scegliendo i sassi migliori per la loro digestione, scacciando via volpi, aquile e procioni,
proteggendole anche quando hanno perso l'occhio (il sinistro) per i predatori, perché «La vita non è altro che lo sforzo continuo di vivere. Certe persone lo fanno sembrare facile. Le galline no». E quindi sono perfette.
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