Parliamone al presente o al futuro. Perché lei è qui. Anche se non si vede, è fortemente e drammaticamente qui. E il 3 novembre, di anni, ne compirà novanta. Eppure correva il 1994 quando Le Monde diffuse la falsa notizia della sua morte. Lei telefonò al giornale e disse che si trattava di uno scherzo di pessimo gusto. E a uccidersi con i barbiturici, per mancanza di ruoli cinematografici, non aveva mai pensato. Dalla redazione ricevette un mazzo di rose, rosse come la vergogna, per farsi perdonare del trappolone in cui le nobili colonne parigine erano cadute. Ma la malasorte, che non ha bisogno di imbeccate perché in fatto di crudeltà è maestra, a Maria Luisa Ceciarelli, per tutto il mondo Monica Vitti, ha regalato una vita lunghissima, anche se cupa e triste da diciannove anni.
E forse mercoledì guarderà la fiamma della candelina con il distacco di una donna che un male neurologico degenerativo - diciamo Alzheimer - ha condannato a non ricordare più una carriera inimitabile. E probabilmente nemmeno se stessa. Una beffa che la allontana dalla nostalgia di chi ricorda quella Ragazza con la pistola come fosse ieri. O addirittura oggi. E per quella malinconia che si taglia a fette come la sua torta di compleanno, venerdì 5 in prima serata Raitre trasmetterà il documentario Vitti d'arte, Vitti d'amore, rielaborazione di un verso della celebre aria della Tosca che richiama un'altra divina, interprete d'eccezione. Maria Callas.
Così, a ripercorrere la tappe straordinarie di una filmografia che spazia da Antonioni a Monicelli, da Scola a Sordi fino a Risi, Corbucci, Vadim e un Blasetti post fascista ci si mette l'ottimo biopic di Fabrizio Corallo, prodotto in collaborazione con Rai documentari e presentato con successo alla Festa del cinema di Roma appena conclusa. Dove la suggestione viaggia forte tra sequenze indimenticabili come gli scabri paesaggi siciliani di una Taormina, che assiste all'Avventura della Vitti con un Gabriele Ferzetti, ritrovatosi solo senza la fidanzata Lea Massari. O le botte, prese più che date, in Amore mio, aiutami dove un geloso Alberto Sordi reagisce malissimo alla moglie invaghitasi di un altro uomo. Sulla spiaggia di Sabaudia spinte e zuffe si accavallano in una scena su cui oggi il #MeToo avrebbe forse da ridire ma allora - ed era il '69 - nessuno si scandalizzò. «Quel litigio era un amore profondo» spiegarono lei e Sordi puntualizzando che non ci fu aggressione ma soltanto una serie di strattoni.
Fosse come fosse, quelle immagini fecero epoca. E segnarono uno strano debutto, quello della controfigura della Vitti, in una giovane e allora sconosciuta Fiorella Mannoia, cresciuta in una famiglia di stunt. Non è stata solo quella rissa a far entrare Monica nella storia. Un ruolo capitale lo ha giocato la sua voce roca, inconfondibile, con cui ha pronunciato frasi indimenticabili come quel «Mi fanno male i capelli» di Deserto rosso. E ora non suona più se non a fatica anche all'interno delle mura casalinghe. «Ci capiamo a occhiate» ha lasciato intendere il marito. Vitti d'arte è il risultato di una selezione di molte ore di girato, con interviste, tra i tanti, a Michele Placido, Carlo Verdone, Paola Cortellesi, Citto Maselli e Giancarlo Giannini che le fu al fianco. I compagni indimenticati, oggi già volati via, parlano nelle immagini di repertorio.
Mancano invece le voci di casa. Quelle di chi le vive al fianco, oggi trincerato, per proteggere la fragilità di una donna. Monica Vitti è assistita dal marito, sposato in Campidoglio dopo 27 anni di fidanzamento, una manciata di mesi prima di imboccare il declino. Roberto Russo, suo grande amore, non fa eccezioni al diktat che si è imposto. Non rilasciare interviste e fuggire incontri. «Non deroga in alcun modo. Mi ha aiutato firmando la liberatoria di immagini e film ma ha rifiutato di comparire - spiega Corallo -. Tempo fa, in occasione di una mostra dedicata alla moglie, andò a vederla in orari di chiusura per non incontrare nessuno».
Il film lo coinvolge indirettamente. Compare in materiale d'archivio ma non prende parola, però il documentario lo ha visto e gli è molto piaciuto. «L'ho invitato alla prima ma naturalmente ha declinato». Monica prima di tutto. Nella loro casa romana ogni parola è filtrata. Ognuno escluso, oltre a lui e alla badante nessuno è ammesso. «Gli ho inviato il film, poi mi ha telefonato. È stato contento. Era un esame al quale tenevo molto» spiega il regista. Vitti d'arte accenna solo di riflesso al male vigliacco che ha tolto il cinema alla soubrette di Polvere di stelle e a lei l'amore del suo pubblico. «Era il 2002 l'anno in cui era andata a vedere Notre Dame de Paris e tutto iniziò lì, quando comparvero i primi segnali di logorio mentale». Nessuna clinica svizzera e nessun ricovero come qualcuno ha azzardato. Mezzo secolo di vita insieme e di cuori congiunti hanno reso Monica e Roberto complici di un dialogo con gli occhi e di parole che non hanno bisogno di essere pronunciate.
Una delle pochissime dive in opere drammatiche e comiche allo stesso tempo, festeggerà con una torta e una candelina. Simbolica. Lontana dagli schiamazzi di un nulla bulimico che non conosce il rispetto se non è tenuto a distanza.
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