Lo scrittore Wilbur Smith, morto sabato sera, a 88 anni, si riteneva un uomo estremamente fortunato sia perché era nato in Africa (cosa che gli aveva permesso fin da bambino di vivere in un mondo di avventure) sia perché non era riuscito a pubblicare il suo primo romanzo, superando subito il trauma di quella bocciatura convinto che non avrebbe mai più commesso gli stessi errori da principiante.
Wilbur Smith se n'è andato nella sua casa di Città del Capo, in Sudafrica, «in modo inaspettato, dopo una mattinata di lettura e scrittura, con al fianco la moglie Niso» come dice il suo sito ufficiale. Ha lasciato i suoi lettori senza far clamore, un po' come avrebbe fatto uno dei suoi eroi più celebri, lo sciamano Taita (esperto di arti magiche, scriba, eunuco, astrologo, medico, indovino) protagonista de Il settimo papiro, Il dio del fiume, I figli del Nilo, Alle fonti del Nilo (tutti editi da Longanesi) che riesce a scoprire il segreto dell'immortalità ma vi rinuncia.
Avere firmato 49 romanzi e avere venduto più di 140 milioni di libri in tutto il mondo ha sicuramente regalato l'eternità letteraria a Wilbur Smith che ce l'ha messa tutta per mantenere lo scettro di re della letteratura di viaggio ed esplorazione per oltre quarant'anni, raccontando nei dettagli quel «sogno africano» che lo aveva cullato fin da bambino quando sostiene che sua mamma gli ha dato subito da bere con il latte anche «le acque del fiume Zambesi». Lo scrittore sudafricano ha raccontato le avventure di contrabbandieri d'avorio e diamanti, le imprese di schiavisti e colonialisti, gli epici safari nella Savana dei cacciatori bianchi ma anche quelle dei pigmei. Ha illustrato i folli progetti di conquista dell'Etiopia ma ha anche ricostruito nei dettagli l'assedio di Karthoum e si è divertito a far viaggiare i lettori nell'antico Egitto dei faraoni.
Ho incontrato varie volte Wilbur Smith durante i suoi tour italiani e ogni volta sorridente mi raccontava la sua ultima avventura letteraria e confessava di avere continuato sempre a scrivere con passione e di non essersi mai piegato davanti alle difficoltà. «Il mio primo romanzo - mi spiegò una volta Smith - è stato bocciato da ben 14 editori, ma devo ammettere che sono stato molto fortunato perché in quel primo libro che mi è stato rifiutato così severamente è quello in cui si sono concentrati tutti gli errori del debuttante. Quel libro per fortuna non ha mai visto la luce. Il mio secondo romanzo, che scrissi nel 1964, quando ero ancora impiegato per la Salisbury Inland Revenue, è quello che mi ha poi indirizzato lungo il percorso che ho seguito sino ad oggi come narratore».
La sua decisione di scrivere romanzi d'avventura era stata una scelta romantica della quale non si è mai pentito: «Mi piace scrivere e leggere storie di eroi ed eroine. Amo dipingere su tele molto grandi, per questo uso moltissimi personaggi nelle mie storie e ho bisogno di entusiasmo e di grande ritmo per portare a termine il mio lavoro. So che solo alla fine io e i lettori potremo tirare insieme il fiato». E d'altra parte essersi formato in Africa lo aveva di certo facilitato nella formazione del suo immaginario: «Lì è sepolto un vero e proprio tesoro di storie. Dalle foreste alle montagne, dai grandi fiumi alla Savana mi sono trovato davanti un immaginario incredibile, popolato da possenti elefanti ma anche da minuscoli roditori, abitato dai giganteschi Watussi e dai minuscoli pigmei, attraversato dai boscimani e dai Koi-Koi. Mio padre aveva un aeroplano personale, cosa strana per l'epoca, e con lui ho sorvolato i laghi, le montagne e i fiumi dell'Africa, accorgendomi di quanto fosse grande questo continente e quanto diverso da regione a regione. Mi sono trovato a disposizione un'immensa ricchezza che non potevo non ri-raccontare». Così da bambino Wilbur Smith ha scelto naturalmente di vivere l'esperienza avventurosa di certi luoghi e di assaporare la letteratura di autori che erano capaci di narrare certe storie: «Il mio primo vero amore letterario sono state le cronache dei viaggi di David Livingstone. Edgar Rice Burroughs ha scritto le avventure di Tarzan dalla California senza mai visitare l'Africa, per cui ho sempre sorriso leggendole e paragonandole con la realtà che mi circondava».
Quando poi i lettori si sono trovati fra le mani la sua autobiografia Leopard Rock (2018) hanno compreso quanto forte il legame fra la sua vita e la sua letteratura e fra quelle pagine troviamo un testo che sarebbe la perfetta epigrafe alla vita d'autore di Wilbur Smith: «Ho vissuto una vita che mai avrei potuto immaginare.
Ho avuto il privilegio di conoscere persone di ogni angolo del mondo e sono stato ovunque il mio cuore abbia desiderato, e nel frattempo i miei libri portavano i lettori in molti, moltissimi luoghi. Dico sempre che ho fatto scoppiare guerre, dato fuoco a città, e ucciso centinaia di migliaia di persone, ma solo con l'immaginazione!».
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