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Abbey e Nikki cadono e si aiutano. Insieme al traguardo e nella finale

L'americana e la neozelandese sfortunate ma poi ripescate

Abbey e Nikki cadono e si aiutano. Insieme al traguardo e nella finale

RIO DE JANEIRO - Non si erano mai viste prima, Abbey e Nikki. Venti minuti dopo si sono salutate come sorelle. Una chinandosi leggermente verso l'altra per ascoltarla, seduta com'era su una sedia a rotelle. Qui, a Rio che non è Rio, fino a ieri era andato in scena solo lo sport. Qui, ieri mattina, è finalmente iniziata l'olimpiade. Quella lì. Quella che i ragazzi crescono sognandola. Quella dei valori. Quella dei momenti di gloria. Quella che durante un'edizione dei Giochi magari dura un secondo, un minuto, il tempo di un gesto che non dimenticherai mai. Abbey e Nikki, Stati Uniti e Nuova Zelanda, una dietro l'altra, una vicina all'altra, troppo vicine nella seconda semifinale dei 5000. Abbey che la punta, Nikki che inciampa, perde l'equilibrio ed Abbey non sa dove mettere i piedi che si alternano veloci e prova ad evitarla e non riesce, le finisce addosso, va a terra, malamente. Brutalmente.

Abbey D'Agostino e Nikky Hamblin, 24 e 28 anni, l'olimpiade azzannata al superenalotto la prima, grazie a due rinunce di compagne; l'olimpiade della vita per la seconda dopo anni d'infortuni. Niente da fare, a terra, entrambe, il gruppo lontano e sempre più lontano là davanti come la finale, come i Giochi, come lo sport. Ma ecco l'olimpiade all'improvviso. Ecco il suo spirito fin qui rimasto assopito e travolto dai fischi tamarri di questo pubblico che non si era mai visto (chiedere in proposito all'astista francese Lavillenie). Si rimette in piede prima Abbey che però ha l'anca dolorante. Prova ad aiutare Nikki, la sprona, "forza, alzati, dobbiamo finirla questa gara, siamo alle olimpiadi..., get up get up" urla con gli occhi lucidi e stanchi e disperati. Un attimo dopo è lei a terra, l'anca non regge e allora la sconosciuta neozelandese aiuta la sconosciuta americana, "dai, andiamo, proviamoci".

Ci provano. Nikki sta meglio di Abbey, non vuole lasciarla, si volta, "vai, vai, continua tu" le grida Abbey, e lei va. Chiuderà la seconda semifinale dei 5000 in 16'43. Poi resterà là, sola, sul traguardo, ad attendere la sconosciuta americana. Un minuto che non finisce mai, un minuto per abbracciarla e dire al mondo "le sono così grata, io era terra, è stata lei a spronarmi, Abbey è lo spirito olimpico fatto persona".

La sconosciuta neozelandese che scorta la sconosciuta americana mentre viene portata fuori in carrozzella. Sorridono. Si parlano. C'è una vita intera da recuperare.

E una finale da disputare. Entrambe ripescate. Succede così quando si finisce a terra in quel modo. Succede così anche nelle favole. Succede in quell'attimo raro in cui inizia e si chiude la vera l'olimpiade. L'abbiamo colto. Anche questa volta.

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