La speranza si è spezzata. Salvatore Schillaci lascia questo mondo che gli aveva concesso un'estate stupenda, l'anno era il 1990 e lui trovò gol e gloria impreviste con la maglia azzurra. Gli occhi sbarrati e increduli, lo stupore delle notti magiche, questa fine cattiva non riuscirà mai a cancellare l'emozione di quei giorni romani. Il male gli ha concesso i tempi supplementari, miraggio maligno. L'epilogo lascia malinconie profonde, l'amarezza di una vita conclusasi prima che potesse essere completa e completata.
«Il piccolo Turi si era battuto con pirandelliana rabbia (mancava si mordesse le mani) contro giganti che ne mortificavano la statura: prese le giuste distanze dalla torre, ha sparato da prima addosso al portiere ma al secondo tentativo lo folgorava con un sinistro omicida». Per Gianni Brera Totò era Turi, meglio così per questo siglianuzzo di sangue vero, caldo come il sole della terra sua, Palermo, la città che tutto guarda, là dove se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi, come scrisse un figlio illustre di quella città, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Così il male ferocemente, precocemente, si era portato via Pietruzzu U' Turcu, Anastasi, un altro fiore di Sicilia con uguale percorso, Torino, Milano, azzurro, la gloria e poi il ghiaccio dentro di una fine imprevista.
Salvatore Schillaci è passato come una stella di mezz'agosto nel cielo azzurro del nostro football, i suoi occhi di pece accesi dopo un gol, la sua frenesia genuina, il suo correre trafelato memoria dei vicoli del rione Cep di Palermo, allora era una palla di stracci poi diventata di plastica e infine di cuoio prezioso, la Juventus, l'Inter, la nazionale, i mondiali, il Giappone, la gloria televisiva, una vita feroce che improvvisamente è finita sotto il grigio di nuvole cattive. Il ricovero in ospedale, le voci subito angoscianti, l'ansia di conoscere la verità, la speranza in una domenica di settembre che per lui significò mille partite, il giorno santificato al pallone, fette di vita consegnate ai tifosi che si sono accucciati nella paura poi divenuta tragedia, silenzio, lacrime, ricordi strazianti, non soltanto nelle nostre terre.
Schillaci è stato un attaccante di quelli immediati, se l'aggettivo può servire a comprendere meglio le sue qualità e le sue caratteristiche. Non un fuoriclasse, non un campione come vengono descritti dai narratori contemporanei. Il fisico era tozzo come fu quello del tedesco Gerd Muller, il fulmineo tiro a rete, l'astuzia del rapace pronto ad afferrare la preda stranita, Totò dunque nel mondiale delle notti magiche, apparve imprevisto e ci regalò sei gol e, assieme, quello sguardo del diavolo quasi stupito lui medesimo del fatto, dell'evento, del miracolo. Forse ripensando al sudore di una adolescenza certamente povera, il lavoro precario da gommista, Palermo non sempre generosa con i suoi figli, un destino già scritto prima del viaggio a Messina, sette anni di scuole superiori nei campi arsi dal sole, Francesco Scoglio e Zengo Zeman i docenti, il sogno del viaggio verso il continente, nuova polvere ma d'oro, dunque Torino, Boniperti e l'Avvocato, disneytotòland, la fama dopo la fame, soldi e donne, storie tipiche del tempo, di sempre si dovrebbe dire, tradimenti, separazioni, minacce ti faccio sparare urlò a Fabio Poli un mediano del Bologna che lo aveva stuzzicato oltre misura, asterischi sporchi che lo macchiarono appena. Marini lo fece fuori dall'Inter, umiliandolo con la panchina e un solo minuto, l'ultimo, di una partita, prima del tramonto. Infortuni cento e mille, prima di divenire Totò-san, due campionati in Giappone e gol, di nuovo idolo per tifosi a lui sconosciuti epperò entusiasti ed ubriachi di quell'italiano vero, stortignacolo ma grande goleador. Quindi il ritorno a casa, l'Italia, Palermo, non più le luminarie che gli avevano dedicato dopo il mondiale ma la vita normale, da reduce riverito, una scuola di calcio, il parrucchino a mascherare la stempiatura del tempo, l'Isola dei famosi, da Roberto Baggio e Casiraghi a Kabir Bedi e Francesco Facchinetti, cambiano i compagni di avventura.
Altre apparizioni televisive, improvvisa, la saetta, come il gol mondiale, l'annuncio della malattia, la lunga partita finale, a
riflettori spenti, lontano dai cori che da sempre lo avevano accompagnato. Invano ho aspettato la notizia bella, il sole dopo il freddo del buio. Totò infine ha chiuso i suoi occhi grandi ed è calata la notte. Non più magica.
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