Izoard - Soffocato, come il suo sogno, come quel desiderio di podio che aveva accarezzato. Fabio Aru aveva capito già sul Galibier come sarebbe andata a finire sull'Izoard. Sapeva perfettamente che lassù, dove avevano osato Coppi, Bartali e Bobet, per lui sarebbe stato difficile poter fare qualcosa.
Su questa montagna magica, aspra come la sconfitta, asciutta come la sua terra, arcigna come le sue pendenze, con le sue guglie che puntano l'azzurro di un cielo senza fine, sapeva che non ne sarebbe uscito da vincitore.
Il paesaggio è torvo, come i suoi occhi. «I problemi fisici fanno parte dello sport e vanno accettati», spiega il sardo dell'Astana subito dopo essersi sottoposto al rituale del controllo antidoping.
«Il quinto posto però non è da buttare precisa a fatica, tra un colpo di tosse e un altro ancora . Certo, c'è delusione per come è andata, perché se non mi fosse arrivata questa bronchite forse il mio Tour sarebbe stato anche diverso».
Aru ha iniziato a perdere contatto con i diretti rivali negli ultimi 5 km di salita: taglia il traguardo 13°, a 1'22'' dal vincitore Warren Barguil e a 1'02'' da Romain Bardet e Chris Froome. Ora nella generale è quinto a 1'55'' dalla maglia gialla.
Warren Barguil entra nella storia del Tour vincendo la tappa dell'Izoard , che per la prima volta nella storia si conclude quassù.
«Non ci posso credere, sono al settimo cielo - dice il 25enne corridore bretone -. Conoscevo la salita, ero venuto qui ad effettuare un sopralluogo. L'attacco era preventivato, volevo vedere come sarebbe andata, chi mi avrebbe seguito. Alla fine le dita al cielo erano una dedica per i miei nonni. Sono molto felice, dopo un periodo duro (il riferimento è l'incidente in allenamento con i compagni della Giant nel gennaio 2016 in Spagna, ndr), sono tornato a dimostrare quanto valgo».
Alla fine, se ben si guarda, il gigante Izoard produce due scattini due. Piccoli corridori, per un gigante? No, squadre troppo organizzate che soffocano in culla con la velocità ogni velleità. Con un Froome così attento, e una squadra così forte, che macina frequenze dall'inizio alla fine di ogni tappa, c'è poco da fare. Vuoi attaccare? E noi ti facciamo arrivare ai piedi delle montagne (ieri il Vars e l'Izoard) con la lingua a penzoloni, sembrano dire gli Sky. Questo è stato il leit-motiv di questo Tour.
La tappa più attesa vive sulla lunga fuga di un gruppo di 54 uomini che nulla hanno a che fare con la classifica. L'ultimo ad arrendersi è Darwin Atapuma che arriva secondo e solo all'ultimo chilometro si arrende allo strapotere di un Warren Barguil davvero in stato di grazia.
Tra i big il primo a smuovere le acque è ancora una volta Daniel Martin e il primo a cedere è il nostro Fabio Aru.
Romain Bardet, che fa lavorare la squadra a fondo sia sul Vars che nel lungo falsopiano verso Guillestre, piazza un solo attacco al quale risponde molto bene Froome con Uran sempre incollato alla sua ruota. Per il resto solo tanta velocità. Tanti watt. Molta potenza e troppa telemetria, che esalta una grande organizzazione di squadra, ma che non può essere considerata spettacolo.
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