Serre Chevalier C'è chi scivola su, e chi giù. È la storia della vita, dello sport e del ciclismo. Al Tour è un continuo rimescolarsi di carte, di sentimenti che mutano come i giorni: oggi sei un leone, domani un gattino bagnato. Ieri il leone è stato Primoz Roglic, corridore sloveno, ex campione del salto con gli sci, che salta e danza piuttosto bene anche sui pedali: scivola in alto. Per lui prima vittoria della carriera al Tour, per la sua nazione, anche.
Poi c'è il nostro Fabio Aru, che scivola giù. Per il momento dal podio. Da secondo a quarto posto della generale, dopo aver vissuto ieri una giornata amara, difficile, che gli costa 31. Adesso Froome è sempre in giallo, con 27 di vantaggio su Uran e Bardet, 53 sul campione d'Italia.
E dire che eravamo tutti molto fiduciosi, anche perché Fabio lo era: queste sono le sue salite. Spesso va al Sestriere per trascorrere lunghi periodi di allenamento. Conosce il fascino e la leggenda di queste cime: Galibier e Izoard. Ma nel ciclismo conta la storia, ma ancor di più chi sa scriverla: non raccontarla. E alla fine Fabio non se la racconta, con il volto di chi ha speso molto per limitare i danni. «Ho perso e non posso essere contento - commenta a caldo il campione italiano -. Ma il Tour finisce domenica, e io non mi arrendo. C'è ancora l'Izoard, tappa non dura, di più. Io me la voglio giocare fino alla fine», taglia corto.
Ma facciamo un passo (pardon, una pedalata) indietro. La giornata, dopo solo 20 km ecco il primo colpo di scena: Marcel Kittel, il vincitore di cinque tappe, resta coinvolto in una caduta con Barguil e Cummings. Il tedesco in maglia verde prova a ripartire, ma non ce la fa ed è costretto al ritiro. Il leader della classifica a punti diventa così Michael Matthews.
Da Kittel a Contador: altro momento di grande suggestione. Sulle alte vette del Tour, sulle pendenze della Croix de Fer è lo spagnolo che prova a dare un senso alla sua corsa e parte da lontano, con Quintana. Il Pistolero sta bene, e scalpita come nei giorni migliori. Il colombiano non riesce a tenere il passo di Contador e si stacca subito. Alberto come una furia si riporta sui 24 fuggitivi, ma proprio all'attacco del Telegraphe è costretto a mettere piede a terra e a cambiare bici per un guasto meccanico, ma anche in questo caso Alberto torna come un falco sul gruppetto di testa.
Alle loro spalle, intanto, il dream-team della Sky rosola a fuoco alto il gruppo maglia gialla. Poi ancora Contador, che sul Galibier se ne va con Roglic, Pauwels, Atapuma, Navarro e Frank. Ma dove nel '98 spiccò il volo Marco Pantani questa volta è lo sloveno Roglic a fare il vuoto con apparente facilità. Trova la forza di involarsi tutto solo verso il traguardo transitando per primo ai 2646 metri del Souvenir Henri Desgrange, il punto più alto del Tour, mentre Contador cede e viene ripreso dal gruppetto di Froome.
Dopo Contador e Roglic, ecco il momento di Bardet. Il francesino scalpita. È il più convinto degli uomini di classifica e ci prova. Eccome che ci prova. Non una, ma tre volte. Tre attacchi decisi, uno di fila all'altro: a pagare, però, è solo il nostro Fabio Aru, che transita sul Galibier con una ventina di secondi di distacco da Froome, Bardet e Uran. E poi nella lunga picchiata verso Serre Chevalier, il sardo non trova collaborazione e vede il distacco lievitare fino a 31''. Una brutta botta.«Abbiamo perso una piccola battaglia, non la guerra», assicura Alexander Vinokourov, team-manager dell'Astana, la squadra kazaka di Aru.
Oggi c'è la cima-mito: l'Izoard.
L'ultima occasione per il nostro Fabio per provare a rimettere le cose apposto. Non deve guardare a quello che è stato, ma a quello che sarà. Guai soffermarsi su quello che è stato: non c'è domani. Se pensa a oggi, può rivedere Parigi: il podio.
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