Si è fatto un planing plan giornaliero, per non farsi vincere dall'ozio, cosa pressoché impossibile per uno come Davide Cassani. La giornata del Ct azzurro anche nell'era del coronavirus è assolutamente piena di impegni: colazione, un'ora di inglese e a seguire 50 minuti di rulli. Poi una bella doccia e un boccone per non restare a stomaco vuoto. Qualche telefonata e diverse interviste, così come i collegamenti via Skype e ancora un po' d'inglese. Infine, altro esercizio fisico: balzi su e giù per le scale, per fare anche un po' di potenziamento, prima di mettersi davanti al computer a rispondere alla posta, prima di cena e prima di concludere la giornata con un film o un libro. «Diciamo che il tempo mi passa molto velocemente ci racconta il Ct azzurro -, non posso dire che mi stia annoiando, ho sempre qualcosa da fare, anche se è chiaro che mi mancano le mie belle uscite in bicicletta».
In questo momento ci manca tutto.
«Ma dobbiamo essere bravi a portare pazienza, a fare squadra tutti assieme per il bene della collettività. Più saremo bravi e prima potremo vedere la fine del tunnel, portiamo pazienza».
Intanto, oltre al ciclismo, anche per le Olimpiadi è arrivato lo slittamento.
«Ed è meglio così, per tutti. Era impensabile dover disputare dei Giochi con alcune nazioni che avevano già detto di non voler partecipare, e con atleti che in qualche angolo del mondo si stanno allenando mentre la maggior parte di loro è ferma. Non sarebbe stato assolutamente giusto e credo che si sia presa la decisione giusta».
Resta però immutata la speranza di poter recuperare entro l'anno tutte le corse, compreso il Giro d'Italia.
«È così: una speranza. Le corse di un giorno forse sono le più semplici da recuperare, il Giro con le sue tre settimane di corsa e la sua imponente macchina organizzativa è chiaramente più complicato, ma dobbiamo pensare positivo. Il Giro mai come quest'anno potrebbe essere davvero il simbolo della rinascita di un Paese che si dovrà rialzare da una situazione difficilissima e per certi versi drammatica. Il Giro come simbolo della nostra unità nazionale, di energia positiva e di benessere ritrovato, esattamente come avvenuto nel 1946, all'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale. Il Giro e l'Italia che rinascono assieme e grazie a due grandi personaggi: Gino Bartali e Fausto Coppi. Un Giro complicato, quello, con le tensioni della nuova Italia che esplodono in tutta la loro drammaticità il 30 giugno, giorno della Rovigo-Trieste, nei confronti della città giuliana non ancora unita al resto del Paese. A Pieris, quel giorno, la corsa viene bloccata. Ci sono tumulti. Vengono lanciati chiodi e sassi verso i corridori per mano di alcuni cittadini che vogliono l'annessione alla Jugoslavia. Deve intervenire la Polizia Civile del Friuli Venezia-Giulia, la paura è tanta. La tappa verrà neutralizzata. Il resto è storia. Quel Giro lo vincerà Bartali, per la terza volta. Il Giro che verrà sarà sicuramente solo una vera festa popolare: l'importante è correrlo».
Quando?
«Adesso come adesso è difficile dirlo, gli organizzatori di Rcs Sport stanno lavorando affinché questo possa accadere. A tarda estate, nella finestra che si è venuta a creare dopo l'annullamento delle Olimpiadi? È un'opzione. Oppure a settembre. L'importante è riuscirci. Mi piacerebbe che riuscissero a trovare una data ideale che consentisse al Giro di essere lo spot della nuova ripartenza. Mi piacerebbe un Giro simbolo di tutto lo sport che si rimette in moto e in movimento».
Matteo Trentin, ex campione d'Europa e vice campione del mondo, ha lanciato un'idea, tra l'utopia e la provocazione: un Grande Giro d'Europa, che raggruppi Giro, Tour e Vuelta.
«È chiaramente una bella suggestione, ma la trovo di difficile realizzazione, con troppi interessi sponsorizzativi annessi. Io sarei già contento che si riuscisse a correre tutti e tre i Grandi Giri».
Sa che i francesi il Tour lo
vorrebbero correre a tutti i costi, anche a porte chiuse.«Senza pubblico non è sport, non è ciclismo. Non è festa. Se si deve ricominciare bisogna farlo con tutte le garanzie del caso: questo vale anche per i francesi».
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