«Ho avuto un match point, ho sbagliato il colpo: questo è il riassunto della partita». Se fosse così facile Matteo Berrettini non sarebbe così abbattuto, però è vero che il tennis è proprio questo. Un semplice passante per la vittoria che diventa una pallaccia affossata in rete con l'avversario già pronto a farti i complimenti. Oppure un tiro qualunque che, dopo 4 ore e 50 minuti di lotta, sbatte sul net e finisce lemme lemme dall'altra parte. Siglando nel modo peggiore la tua sconfitta. Se fosse tutto così facile, Berrettini non potrebbe sentirsi così male per un ko al primo turno negli Australian Open, ma neppure certo che in fondo avrebbe potuto vincere.
Lo ha detto anche Andy Murray, e di lui bisogna parlare prima di spargere sale sulle ferite del tennis azzurro. Perché lo scozzese è stato uno dei Fab 4 del tennis, prima che l'anca cedesse e lo portasse a piangere in conferenza stampa annunciando il ritiro. Era tre anni fa, proprio a Melbourne, un momento di sconforto e pieno di dolore. E ci vuole coraggio, quello di un campione, per asciugare le lacrime e pensare a di tornare a lottare, quando nemmeno riuscivi più ad allacciarti le scarpe senza soffrire. Eppure anche ora che l'anca è di metallo, nessuno scommetteva che sarebbe riuscito a riprendere una racchetta sul serio, nemmeno lui: «Negli ultimi anni mi sono messo in discussione più volte. Molti hanno messo in dubbio le mie capacità e le mie possibilità di essere all'altezza dei tornei e delle partite più importanti. Per questo mi sono sentito molto orgoglioso di me stesso dopo la partita. E non è una cosa che ho provato di solito nel corso degli anni alla fine delle partite di tennis». Se lo è meritato, ciondolando sul campo con quell'andatura zoppicante che non gli ha impedito di fare recuperi quasi impossibili. Di farlo per quasi cinque ore, sia quando Berrettini era praticamente disattivato nei primi due set («Faceva freddo, non me l'aspettavo»), sia quando l'italiano l'ha messo davvero in difficoltà, rimontando e quasi vincendo appunto, fino a quello sciagurato match point sparato in rete.
È stata insomma, alla fine, una partita meravigliosa, girata male per Matteo, che per di più - dopo 3 anni - esce dalla Top 20. Ma il tennis è questo, sbagli una pallina facile e tutto riassume il 6-3, 6-3, 4-6, 6-7, 7-6 finale. Nessuno avrebbe scommesso un dollaro su Murray all'inizio del super-tiebreak finale, ma è il tennis che ha preferito raccontare una favola: «Ha giocato meglio - ammette Matteo -, è un grande campione: è stato fantastico giocare in quell'atmosfera contro di lui, peccato per com'è finita. Non è un segreto: Andy sta tornando uno dei migliori del circuito.
È impressionante quello che è riuscito a fare dopo tanti interventi chirurgici, dopo tutti i chilometri che ha corso nella sua carriera. È la dimostrazione di quanto ama questo gioco». Nel quale basta poco per cambiare tutto: «L'hanno scorso avevo vinto 7-6 al quinto, quest'anno ho perso 7-6 al quinto: questo è il tennis». Appunto.
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