Sprofondo rosso e Virtus nel paradiso che mancava da 20 anni. Lo scudetto del basket va alla Segafredo, il trionfo è per Sasha Djordjevic l'argonauta cacciato per 24 ore a dicembre dall'incompetenza, la notte magica è tutta per Alessandro Pajola, un ragazzo di Ancona che ha vinto anche il premio come miglior giovane della stagione.
Per l'Armani sfinita alla 91ª partita dell'anno un cappotto fuori stagione che punge la pelle di campioni navigati, mai loro stessi nella volata finale dove sembravano più che altro fantasmi. Il meglio lo avevano lasciato nella semifinale di Eurolega a Colonia persa col Barcellona. Per la Virtus percorso netto anche se per arrivare al 73-62 della quarta partita, quello che ha permesso di mettere la bandierina sulla montagna scudetto, c'è voluta pazienza, ma, soprattutto, è diventato importante il timoniere della barca tricolore del Zanetti re del caffè che ora amerà i cestisti come i suoi ciclisti. Djordjevic ha letto nella mente di ragazzi che non vedevano l'ora e, in questi casi, capita di esagerare perdendo troppi palloni. Un'Armani con l'anima, ma non è bastato, così come è stato tardivo il pentimento di utilizzare davvero la panchina, cominciando da Cinciarini cancellato troppe volte o, magari il Biligha generoso al momento della resa.
Milano è la sua anemia nei finali di partita, anche ieri 19 punti nei 20 minuti conclusivi, 8 soltanto nel terzo quarto, percentuali orribili al tiro cominciando da Rodriguez e quella che era la lama sottile per trafiggere difese ariose è diventata l'arma per il suicidio contro la difesa tosta, ben organizzata della Virtus. Ieri più Belinelli del solito mago Teodosic, ma hanno lasciato un segno anche Alibegovic, altro giovanissimo, Ricci nel finale, dopo una buona difesa, Wheems con i suoi colpi a sorpresa, Hunter e Gamble per rendere irrespirabile la vita dentro l'area senza il sostegno del Tessitori infortunato che sarebbe stato utilissimo. L'uomo della serata, però, è stato un ragazzino dagli occhi vivaci, 8 punti, 5 rimbalzi, 4 assist, tanti palloni rubati o sporcati. Lui il motivo per cui si deve credere in una scuola italiana, quella del Consolini che lo ha svezzato, quella del Djordjevic che gli ha dato fiducia. Il capolavoro è di questo serbo che con la nazionale ha vinto tanto, come giocatore e allenatore, di questo poeta del rischio che ha casa a Milano in zona Brera e nella finale ha incatenato il sistema di Messina, un gioco che non ha funzionato contro una difesa costruita bene.
Ettore Messina lascia da signore l'arena dopo aver abbracciato il rivale, sapendo cosa si prova a Bologna in momenti come quelli di ieri. L'ultimo scudetto lo aveva dato proprio lui battendo la Fortitudo vent'anni fa, suo il filotto senza sconfitte come quello di questa Virtus che ha eguagliato anche il 2010 di Siena.
La Virtus ha rubato a Milano le sue trappole, mettendoci qualcosa in più con i dioscuri
Teodosic e Belinelli, costruendo quello che Milano non è riuscita a fare in una stagione di gloria dove, però, alla fine, ha scoperto, di dover cambiare molto se vuole restare al vertice europeo. L'usato sicuro non basta.
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