Arriva il momento in cui è bene deporre l'ascia di guerra. Arriva il momento in cui ti senti in pace con te stesso, nonostante da anni la pace sia stata fatta, visto che quel guascone di texano le scuse te le ha fatte di persona, qualche anno fa, in un incontro privatissimo di cui nessuno ha mai scritto o parlato e Filippo Simeoni, 49 anni da Sezze, sposato con due figli, una maglia tricolore e due tappe alla Vuelta in bacheca, lo fa oggi, con noi, ora.
«È vero, Lance Armstrong è venuto appositamente dal Texas in Italia per incontrarmi e parlarmi vis-à-vis. Mi ha chiamato telefonicamente e ci siamo dati appuntamento a Roma. Con noi c'erano anche Pier Bergonzi, giornalista della Gazzetta dello Sport, e da sempre amico del texano, oltre ad un mio interprete. Ci siamo parlati per più di un ora, io ho soprattutto ascoltato le sue scuse, sincere e sentite, da parte mia gli ho spiegato il mio tormento, la mia rabbia e il mio dolore per quanto mi aveva fatto passare. Mi sono liberato dai tanti fantasmi che per anni mi avevano accompagnato, anche se ci è voluto ancora un po' di tempo prima che avessi la forza di parlarne serenamente, con quel giusto distacco che è necessario avere».
Che idea si è fatto di Lance Armstrong?
«Era talmente forte e potente, che una persona che non era dell'ambiente non può nemmeno immaginare di cosa si stia parlando. Aveva un fisico pazzesco, ma era la testa a fare la differenza. Per ottenere quello che ha ottenuto, però, ha commesso dei gravi errori. Ha perso la reputazione, che era la cosa più bella e preziosa che aveva. Ha rovinato il sogno di tanti malati di tumore, che l'avevano elevato a leggenda».
Il punto più alto, e quindi più basso di tutta questa triste vicenda, è stato quel 23 luglio 2004: 18ª tappa del Tour, nella quale lei va all'attacco per entrare nella fuga di giornata e Lance s'incolla alla sua ruota per non farlo andare via
«Esattamente. Quello è stato chiaramente il giorno più brutto della storia di Lance Armstrong. Si corre da Annenasse a Lons-le-Saunier: 166 km di corsa. Una tappa di puro trasferimento, adatta ai velocisti o a chi, come il sottoscritto, andava alla ricerca di una giornata di gloria. In fuga ci sono Flecha, Fofonov, Mercado, Joly, Garcia Acosta e Lotz. Quando il loro vantaggio va sopra al minuto, parto per provare a rientrare sui battistrada, ma Lance mi si mette a ruota. Bravo Simeoni, bel numero, mi dice il texano per sfottere. Poi va a parlottare con Garcia Acosta, che è il corridore più esperto di quelli in fuga. In pratica la maglia gialla gli spiega che la nostra fuga è segnata: se c'è Simeoni, la fuga non va in porto (per la cronaca: vittoria di tappa a Mercado, davanti a José Garcia Acosta, ndr). Insomma, si comporta da padrone assoluto, non solo del Tour, ma del ciclismo tutto. È anni che fa così. Fa quello che vuole e come vuole».
E il collegio di giuria non proferisce verbo.
«Esattamente. Tutti forti con i deboli, ma deboli con i forti».
Il texano non aveva gradito la sua testimonianza contro Michele Ferrari, il dottor Mito, preparatore di Armstrong ma anche uomo che le faceva le tabelle e le prescriveva cure dopanti.
«Esattamente. Nel 2002 avevo testimoniato contro il dottor Ferrari. Feci uso di Epo e ammisi in un'aula di tribunale le mie colpe e per queste pagai con due anni di squalifica. Lance, che da anni lavorava con Ferrari, non la prese assolutamente bene e mi accusò di essere un mentitore assoluto, rispondendo con una querela. Ho tanti soldi e tanti bravi avvocati, posso rovinarti quando voglio, mi disse. E cominciò a fare la voce grossa, a bullizzarmi in gruppo. Questa situazione degenerò al Tour nel 2004, quando io provai ad andare in fuga e lui venne a riprendermi. Voleva darmi una lezione, voleva che vivessi una pubblica umiliazione. Ci riuscì».
Quel giorno si sentì solo e abbandonato anche dagli italiani in gruppo.
«Sì, molto. Mi presero a male parole, mi insultarono come fossi un vero traditore, un reprobo da cacciare nelle fogne. Guerini, Nardello e altri poi si scusarono, altri li aspetto ancora».
Armstrong le ha chiesto scusa.
«Sì è così. Mi ero fatto un'idea tutta diversa, ho sbagliato ad ascoltare solo chi mi riportava fatti non veri. Mi sono fidato troppo dei giornali e ho sbagliato, mi ha detto. Mi è sembrato sincero. Oggi sento il desiderio di raccontarlo e se fosse per me lo farei anche tornare nel mondo del ciclismo. È un uomo che ha sbagliato, ha ammesso le proprie colpe e ha pagato, ma è giusto che si volti pagina».
Dice davvero?
«Perché no? Ha pagato e una seconda chance la si deve dare a chiunque. Gli hanno tolto i suoi 7 Tour, ma chi ha corso in bicicletta sa che quei Tour li ha vinti. Lui probabilmente avrebbe vinto anche senza chimica, anche se avrebbe fatto certamente più fatica».
Se diamo una seconda possibilità a Armstrong, perché non darla a Di Luca (radiato, ndr) e a Riccò (12 anni di squalifica)?
«Perché no? Fanno parte tutti dello stesso ciclismo.
Era un periodo terribile, molto difficile e complicato. Sono stati sbugiardati, sanzionati e ora forse è giunto il momento di fare un salto in avanti e voltare pagina. Una seconda possibilità la si dà a tutti, anche a gente come Armstrong».
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