L’inverno in Ohio punge come una sparachiodi conficcata tra le scapole. Esistono però declinazioni di freddo peggiore. Lula Pearl ha soltanto 47 anni quando il suo cuore malandato sceglie di fermarsi per sempre. Agganciando la cornetta, James scivola con le spalle lungo il muro, cadendo in ginocchio. Quindi si raccoglie la testa in mezzo ai gomiti ed erompe in un pianto irrefrenabile.
A trent’anni l’esistenza emotiva gli va decisamente male. È proprio crivellata. Lo chiamano “Buster” già da un pezzo. Di cognome fa Douglas. È un pugile dimenticabile che ha appena perso la madre. Solo qualche mese prima ha smarrito per strada anche l’amore: la storia con la moglie Bertha si è sbriciolata e la separazione lo ha provato duramente. Il padre, invece, gli ha fatto sapere che non intende più vederlo per il resto della sua vita. Una serie di ganci terrificanti che spedirebbero al tappeto chicchessia.
Ventitre giorni soltanto. È l’interludio sciaguratamente compresso che si frappone tra lui ed il prossimo incontro sul ring. Come fai a salirci e combattere, in quello stato di lacerazione mentale? Come fai, specialmente, se il tuo avversario è oltraggiosamente più forte? E invece Buster ce la fa. Pesca al suo interno e grattando via tutto quel gelo attinge da una qualche forza misteriosa. Bene, può presentarsi animato da sentimenti contundenti, che magari gli verranno buoni per gettarsi oltre le barricate erette dal fato. Non fosse che davanti ha una montagna. Non fosse che, a Tokyo, lo aspetta Mike Tyson.
Al Mirage Hotel di Las Vegas sghignazzano. Nessun bookmaker è disposto a quotare l’incontro, perché un pugile modesto come Douglas non ha alcuna possibilità. Jimmy Vaccaro, il vate della categoria, li prende tutti in contropiede. Lui sì. Lui accetta la puntata. Sa che è un pensiero talmente disarticolato da meritare un riscontro iperbolico: quarantadue a uno. Significa che per ogni dollaro scommesso sul cavallo Buster se ne vincono quarantadue. Folle, ma tanto è totalmente implausibile, fa spallucce Jimmy.
Il temibilissimo avversario
Dargli torto non si può. Tyson ci arriva all’apice della carriera, con 37 successi di fila, 33 dei quali per ko. I battage pubblicitari che avvicinano alla contesa sono un concentrato di scherno verso il povero Buster: alcuni sostengono che un’eventuale sconfitta di “Iron” Mike sarebbe un evento più epocale del recente crollo del muro di Berlino. Dal canto suo, Tyson sguazza in un balsamo di sicumera. Non è ribaldo, ma consapevole. Sarebbe tranquillo con tutti. Contro Douglas equivale ad una gita scolastica. Due settimane prima del match lo affligge un debordante virus intestinale: lui se ne sbatte ampiamente. Anzi, la preparazione procede serrata, intrisa di un ingrediente che anche al tempo è un velo squarciato: tanto, tantissimo sesso. A chi critica distribuisce montanti: in fondo ha brutalizzato i suoi ultimi avversari.
Così al Tokyo Dome, l'11 febbraio 1990, il ragazzone di Columbus non pare avere speranza. Mike arriva sul ring con caracollante tracotanza. Buster sembra più composto, ma non intimorito. Sa che quell’incontro gli può valere 1,3 milioni di dollari: la svolta della vita. Quello che ancora non sa è che, tolta la masnada di percentuali da affibbiare a destra e a manca gli resterà l’irrisorio gruzzolo di 15mila verdoni. Così eccoli, la folla che acclama il campione, gli scommettitori con le mani che si sfregano compulsivamente.
Solo che Tyson non pare il solito di sempre. Prova ad attaccare, ma non trova un varco. Buster si muove con disinvoltura sulle gambe e inizia una snervante rappresaglia, fatta di colpi che centrano spesso il bersaglio. Mike le prende e prova a restituirle, ma l’approccio è stanco, prosciugato. Fino all’ottava ripresa, quando finalmente indovina un montante terrificante. L’incontro ravvicinato con la faccia di James è da impresa di demolizioni. Lo sfavorito crolla a terra e qui, va detto, l’arbitro di quella sera, tal Octavio Sanchez Meyran, reagisce con riflessi plantigradici. Inizia la conta con una manciata di istanti di ritardo, provocando le schiumanti proteste di Tyson. Stordito, sul punto di arrendersi, Buster attinge di nuovo da quell’incendio interiore. Forse ripensa alla mamma. Magari gli scorrono davanti tutte le cose che non vanno. La rabbia evolve in riscatto. Si rialza e riprende a combattere.
Round numero dieci. Mike è letteralmente stremato. Forse ha sottovalutato quel virus. Magari ha consumato troppe energie prima del match. Buster invece è animato da scintille che hanno sciolto tutto quel ghiaccio. Il resto si consuma in un minuto e poco più: prima una sequenza di cinque jab sinistri. Quindi un gancio destro male assestato. Dunque un mortifero gancio sinistro. Tyson inizia ad oscillare, poi cade dritto al tappeto. Prova a rialzarsi, ma è tutto vano. La sua cintura sfila via nell’incredulità collettiva. Buster Douglas è il nuovo campione del mondo. I mugugni di Mike su presunte irregolarità sono irrilevanti.
James ha grattato il fondo ed è arrivato agli antipodi. Da così in alto però fatica a scorgere le cose per quello che sono. Gli fregano quasi tutto il premio, ma questo si era già detto. Insieme al raggiro, gli piomba addosso uno di quei ganci da cui non ti riprendi: una fama fantasmagorica. Buster non ha la minima idea di come gestirla e si rifugia nel cibo. Arriva a pesare fino a duecento chili ingurgitando tonnellate di pasti spazzatura ed esce di scena. Nel frattempo perde anche il padre per un tumore al colon e pure il fratello, colpito da un proiettile vagante durante una rissa di periferia. Giunge al confine tra la vita e la morte entrando in coma diabetico, ma si rialza. Forse anche qui qualcuno aveva contato male.
Tornerà sul ring per dimostrare che la parola fine deve uscire soltanto dalle sue labbra.
Oggi, a sessant’anni suonati, allena i ragazzini dei quartieri più difficili. Spesso gli chiedono ancora di quell’incontro. Lui allora dischiude un sorriso. Adesso dentro è come se fosse di nuovo primavera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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