Un camorrista intercettato riapre l'enigma Pantani

Confermata in una telefonata la tesi raccontata da Vallanzasca Esami manomessi dalla malavita per non pagare le scommesse

Un amore senza fine, ma infinite sono anche le rivelazioni e le indagini che ruotano attorno al campione più amato degli ultimi vent'anni. Marco Pantani è davvero un caso infinito. E forse molto più grande di quanto non si fosse pensato finora. Mentre il pm di Rimini Paolo Giovagnoli ha chiesto l'archiviazione al termine della nuova inchiesta sulla morte del corridore, si riapre clamorosamente l'inchiesta legata ai fatti del 5 giugno 1999, quando il campione romagnolo venne escluso dal Giro d'Italia, che stava letteralmente dominando, a causa di valori di ematocrito più alti del consentito.

Non doping, quindi, quel giorno a Madonna di Campiglio, ma valori considerati tali da nuocere alla salute dell'atleta, al quale venivano imposti 15 giorni di riposo prima di tornare alle competizioni. Un episodio che fa discutere da oltre sedici anni con alcuni misteri mai del tutto chiariti e sul quale ora ripiomba in maniera clamorosa l'ombra della camorra.

La storia non è nuova - è bene ricordarlo - ma nelle ultime settimane, come ieri ha riportato La Gazzetta dello Sport , pare possano esserci elementi che potrebbero portare ad una svolta importante. A parlare per primo del coinvolgimento della camorra nel caso Madonna di Campiglio fu Renato Vallanzasca che pochi mesi dopo i fatti del 5 giugno diede alle stampe la sua biografia nella quale raccontava di essere stato avvicinato in carcere da un membro di un clan camorrista che lo invitava a scommettere sulla sconfitta del Pirata al Giro d'Italia. «Io non puntai un euro, ma la mattina del 5 giugno quel camorrista mi venne a dire "che ti avevo detto?? Il pelato è stato squalificato: dovevi darmi retta"». Il bel René fu subito interrogato dal pm di Trento Giardina ma si rifiutò categoricamente di fare nomi e la faccenda si chiuse lì.

Passano 15 anni e Vallanzasca accetta di farsi intervistare da Davide De Zan, collega di Mediaset. Il "bel René" parla a lungo di questa storia al punto che il pm di Forlì Sottani, che nel frattempo ha riaperto l'inchiesta, decide di interrogarlo. Vallanzasca racconta poco, ammette qualcosa; alla fine il pm si trova con una piccola lista di tre possibili camorristi che vengono interrogati dai carabinieri: tutti negano e la cosa sembra finire lì.

La svolta, però, arriva per caso: uno di quei camorristi è intercettato dalle forze dell'ordine nell'ambito di un'indagine che nulla ha a che vedere con il ciclismo ma di ciclismo parla eccome. «Quella che ha raccontato Vallanzasca è una storia vera, pensavo che fosse un uomo d'onore, invece... ha parlato con i Carabinieri...».

Pantani, racconta il camorrista ad un amico fidato, non doveva vincere quel Giro d'Italia per un motivo economico: troppo alto il giro di scommesse clandestine legate al successo del Pirata, la camorra non poteva rischiare di pagare un fiume di denaro e decise che Marco non avrebbe dovuto arrivare a Milano.

Al centro di tutto c'è quindi il famigerato controllo che diede un valore di 51,9 (il massimo consentito era di 50) di ematocrito e portò all'esclusione di Pantani da quel Giro. Il procuratore Sottani ha aperto all'ipotesi di "deplasmazione" del sangue per far salire i valori in maniera esogena.

E non è escluso - anche alla luce del fatto che ci sarebbero state minacce ad un testimone chiave, come rilevato dai carabinieri - che l'indagine possa passare per competenza alla Direzione distrettuale antimafia.

Con l'obiettivo di mettere finalmente la parola fine ad un caso senza fine.

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