Quando il gallo canta è meglio svegliarsi. Lo deve fare il basket e lo sport italiano per il record di Danilo Gallinari nel campionato di basket più difficile del mondo. Quarantasette punti per Denver, nel Colorado, per la partita persa 143-144 dalle sue pepite contro Dallas dopo il supplementare, un capolavoro (15 su 23 al tiro, 7 su 12 da 2, 10 liberi su 10,9 rimbalzi, 2 assist, 1 rubata, o palle perse) alla fine del calvario per uno che dopo tanti problemi alla schiena, due operazioni al ginocchio, quasi due anni d'inattività, era finito addirittura a fare il cambio infelice. Cambiato l'allenatore ha trovato di nuovo la sua nuova luce. Vero che i finali di campionato, nella NBA, sono più che altro esibizioni, ma lui è la nostra vera stella nella lega dei fenomeni, certo più del povero Datome che uscito dall'Italia come miglior giocatore è finito nel limbo a Detroit e ora ha pochi minuti anche a Boston rientrata miracolosamente nel giro per i play off, di sicuro più del Bargnani che a New York non sa ancora se lo riconfermeranno, bravo almeno come il Marco Belinelli che l'anno scorso ha vinto il titolo NBA con San Antonio, corista di qualità nella squadra più cosmopolita, utile anche in questa stagione dove gli Speroni di Popovich, la squadra che ha assunto Ettore Messina, il migliore dei nostri allenatori come vice del capo rubato ai servizi segreti, tenta di riconfermarsi campione.
Diceva un saggio svedese che il mezzo sicuro di non avere gente che ci tormenti con l'invidia, è di essere senza meriti.
No, Gallinari di meriti ne ha tantissimi e questo suo squillo di tromba meriterebbe di essere ascoltato da chi si innamora dei grandi campioni dello sport, da Federer a Nadal, da Vettel a Bolt, ma se succede ad un italiano va a cercare il pelo nell'uovo. Sì, ha fatto 47 punti, ma la sua squadra ha perduto, non è neanche nei play off, però in campo quel ragazzo nato a SantAngelo Lodigiano l'otto agosto del 1988, ecco il motivo del numero 8 sulla maglia, figlio di Vittorio, uno dei grandi pretoriani di Peterson nella Milano che vinceva tanto e ha fatto storia, ha fatto vedere cose che sanno fare soltanto i campioni.
Gallinari la nostra ancora di salvezza per l'estate quando l'Italia del basket cercherà un piazzamento nobile agli Europei sognando la qualificazione per Rio, le Olimpiadi che ci mancano dal 2004 quando vincemmo la medaglia d'argento.
Un bel risveglio al canto del Gallo in giornate deprimenti, con curve chiuse per ignominia, gente che litiga, una Nazionale di calcio sgambettata dagli stessi che dovrebbero amarla, in un basket appiattito nel campionato davanti alla superiorità della Milano appena esclusa dall'Europa che conta, scosso soltanto dalla coraggiosa Cantù di Anna Cremascoli che ingaggiando Ron Artest, in arte Metta Panda, ci ha fatto capire che certe perle sono difficili da trovare in palazzetti soffocanti, spesso porcili soltanto rumorosi, anche perché la nobile società che ha vinto tanto rischia di non entrare nei nostri play off.
Gallinari lo ritroveremo in estate alla testa della nazionale, lui non tentenna come il Belinelli incerto, sarà un piacere vederlo al lavoro, scommettendo sulla sua voglia matta di tornare ad essere protagonista, figurina pregiata anche per i tanti ragazzini che impazziscono per Lebron James, per il Curry meraviglia dei Golden State, ma che ora sanno di non avere soltanto italiani gregari nella Lega più dura, dove si gioca il basket
stellare che spesso fa sembrare così piccolo il basket italiano appena bocciato da tutte le competizioni europee e angosciato dall'idea di un girone europeo difficile da superare a Berlino, sognando di fare il colpo poi a Lilla.
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