Ci sono diversi modi per giustificare una scelta discutibile, anche se poi magari non lo è poi così tanto. E certo dire che la si fa perché in «Arabia Saudita il tennis è in rapida ascesa e i tesserati sono aumentati dal 2019 al 2023 del 46%», fa venir subito voglia di andare a controllare. In effetti: a Riad e dintorni si contano 2300 giocatori certificati su 40 milioni di abitanti, mentre per esempio qui da noi - che siamo il 50% in più - la Fitp ne somma oltre 550mila. Dite che è una bella differenza? Sarà forse per il piccolo particolare che là alle donne non è ancora consentito andare sotto rete, e la cosa non è passata inosservata alla Wta - il circuito femminile - che ha rifiutato l'offerta per le sue Finals. Si può dire di no, insomma, oppure evitare di spiegare quando non serve. Invece l'Atp ha voluto trovare un perché nel firmare il contratto miliardario con il fondo Pif, che per ora si accontenta (si fa per dire) di mettere il suo marchio su quattro tornei, sulle Finals di Torino e sulla classifica mondiale (il cui leader a fine anno diventerà il ranking number 1 presented by Pif...), dopo aver già portato via le Next Gen Finals fino al 2027. Gli arabi avevano inoltre già ingaggiato Nadal come testimonial (e lui almeno ha detto «vorrei migliorare la vita delle persone attraverso lo sport»), e questo è solo un antipasto: il prossimo passo sarà un Masters 1000. Ma non c'è niente di male: business is business, e ormai sport e denaro vanno di pari passo. Così dopo calcio e golf Mohammad Bin Salman si prende anche il tennis, e il confine tra sportwashing e progresso resta in bilico a seconda da che parte della rete lo vedi. Il problema però è un altro, ovvero parlare chiaro.
Per dire: nell'era del politically correct, sei big - Djokovic, Medvedev, Alcaraz, Sinner, Rune e Nadal - parteciperanno a una super esibizione milionaria (1,5 per partecipare, 6 per chi vince) ad ottobre, in piena stagione, a casa MBS. Tutto lecito per dei professionisti, però, come dice il grande vecchio Andy Murray, «poi si lamentano che si gioca troppo». Di sicuro passerà per invidioso.
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