Conceiçao e i suoi "fratelli". Così domano le loro grandi

La grinta del rossonero a confronto con la calma di Inzaghi, l'eleganza di Ranieri, la follia di Conte e la durezza di Gasp

Conceiçao e i suoi "fratelli". Così domano le loro grandi
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Questione di carattere, questione di feeling. Sarebbe bastato riascoltare Mina, lasciando uscire quello che ognuno ha dentro: il Milan ha messo lo spartito, Conceiçao ha fatto cantare un popolo. Neanche il tempo di firmare il contratto, che l'ex Inter si è portato a casa una Supercoppa che, più che di intuizioni tattiche, è figlia di carattere e feeling. In primis con gli uomini decisivi: Leao e Theo, gli ammutinati di Fonseca contro la Lazio, giusto la squadra a cui Conceiçao diede la Supercoppa contro la Juve, nel 1998. Il portoghese ha conquistato sia il Milan che Ibra («Incredibile quel che è riuscito a fare in 4 giorni»), uno che per un altro portoghese come Mourinho disse né più né meno di essere disposto a uccidere. Già Marcello Lippi ammoniva: «Non serve dare il 150% un giorno e il 30% un altro: per essere costanti, serve un grande allenatore». Anche nella sovraesposizione di statistiche e algoritmi è il fattore umano a fare la differenza. E il carattere si esprime pure con l'intelligenza emotiva. Lo ha raccontato anche il freddo Thiago Motta: «Eravamo al ristorante, l'indomani al Psg c'era allenamento. Telefonammo a mister Ancelotti», sfidando la reprimenda. «Lui ci raggiunse, bevve con noi e se ne andò chiedendoci una vittoria per 5-0. Ci conquistò con l'empatia».

Nel campionato che riparte a ranghi compatti, la rincorsa al titolo sarà anche sfida fra dottrine di stile e comportamento. Perché la grinta di Conceiçao e la freddezza dello juventino Motta si misureranno con la capolista Napoli, plasmata a immagine e somiglianza di Conte: con una sana dose di follia, quella delle emozioni che il tecnico non nasconde mai e quella raccontata dall'altalena delle due sconfitte in 3 giorni con la Lazio e, in precedenza, il 2-0 in casa del Milan con il ko 0-3 solo 4 giorni dopo, contro l'Atalanta. Dove Gasperini ha sdoganato il sogno scudetto, dopo l'Europa League: «Il luogo comune di pensare che i giocatori siano diventati vincenti in quel momento va massacrato, altrimenti nella vita c'è una generazione di frustrati che non trova soddisfazione in niente se non nell'alzare una coppa», ha ammonito con la consueta durezza.

Certo, i conti scudetto si faranno con l'Inter di Inzaghi. Tarantolato a bordo campo, ma mite nei giudizi e negli approcci. I nerazzurri sono consapevoli dei propri mezzi e ciò è al tempo stesso punto di forza e limite, quando serve trasformarsi da passista a grimpeur: è successo a Leverkusen, è accaduto in Supercoppa sul 2-0.

Perché ci si può anche snaturare e farlo con eleganza: lo sa Ranieri, che ha dato alla Roma un portamento più verticale, facendole indossare l'abito nuovo dopo gli scomodi panni di inizio stagione. Un pragmatismo che appartiene anche al laziale Baroni, capace di adattarsi a ciò che ha, come fu al Verona lo scorso anno. Senza piangersi addosso, ma rispondendo con serietà. E carattere.

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