Quando Antonio Conte dice «io credo nella mia metodologia» fa maledettamente sul serio. Per esempio battendo l'Atalanta senza aver mai mollato un centimetro in 90 minuti più recupero, per arrivare poi in sala stampa e dire che comunque «loro sono ancora più forti di noi ma ci siamo avvicinati». Questo prima di sbarcare a Napoli alle 3 di notte aizzando le folle festanti armato di megafono, e chissà cosa succederà se dovesse vincere lo scudetto. Dovesse?
Ovunque vada la scena si ripete. Juventus, Chelsea, Inter: l'uomo da titolo riesce sempre a resuscitare squadre in crisi col suo metodo fenomenale per scuotere ambiente e giocatori, isolandoli nello stesso tempo dalle intemperie mediatiche che arrivano dall'esterno. Tanto ci pensa lui a fare il parafulmine, anche quando lo accusano di essere l'allenatore ideale per le stagioni da una partita a settimana (quando ne ha avute due, vedi Lazio in campionato e coppa Italia, le ha perse entrambe), e questa Europa che gli sfugge resta il suo punto debole. Però è quello che sta succedendo a Napoli, particolare che lui rigira a parole contro le rivali nella corsa a uno scudetto che, ovviamente, ufficialmente non è l'obbiettivo primario. È insomma in fuga ma sembra sempre indietro, per esempio quando dice che «l'Inter ha due squadre, di che cosa vogliamo parlare?», o che «rispetto al titolo di due anni fa ci mancano quattro big». Si potrebbe ribattere che a Osimhen ha fin da subito preferito l'arrivo di Lukaku, che Kvara gli è servito il tempo necessario per far sbocciare Neres, che Zielinski poi chissà se avrebbe giocato e che il Kim di Spalletti alla fine non sembra sia un grosso rimpianto. Lui però, intanto, ti guarda torvo e se la ride dentro, perché nel suo metodo ci caschiamo sempre.
E allora, dalla vittoria di Bergamo Conte si porta a casa una botta di entusiasmo («Qui le aspettative sono sempre molto alte: è il lavoro più duro della mia carriera») e la solita dose di lamentela: il Napoli grazie a lui è rinato, e per questo (?) è sempre sotto attacco, perché «dopo sei trasferte mi piacerebbe che anche chi risiede in città possa andare in trasferta, sennò non si capisce quale sia la regola che lo impedisce a noi e lo permette ad altri». La città giustamente lo ama ed è in delirio per lui, e allora questa volta Antonio vuole entrare nel «ristorante da 100 euro» (citazione) sicuro di avere in tasca la sua verità: «Stiamo andando troppo veloce però nessuno ha intenzione di togliere il piede dall'acceleratore: dobbiamo mettere fieno in cascina per il nostro ritorno in Europa. Sappiamo benissimo che siamo lassù in classifica e non vogliamo tornare giù, ma non c'è solo la volontà nostra, ci sono le squadre da affrontare e quelle forti, Atalanta, Inter, Juventus, Milan e Lazio che possono dare fastidio anche loro.
Stiamo facendo qualcosa di straordinario, anche in mezzo alle difficoltà, ma in mezzo alle difficoltà bisogna esaltarsi e non lamentarsi. Io di lamentele non voglio sentirne da nessuno». Più precisamente, da nessun altro.
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