Il cuore dei tifosi, la testa di Pep e Klopp e i social dei giocatori: cronaca di una rivolta

La sollevazione del popolo contagia pure i tesserati. In 48 ore scatta il contro-golpe

Il cuore dei tifosi, la testa di Pep e Klopp e i social dei giocatori: cronaca di una rivolta

Open arms, a modo suo. Braccia aperte, per poi chiuderle con un ceffone bilaterale e stereofonico alle orecchie, alla Bombolo. Pep Guardiola, ieri, non si è tirato indietro sul tema Superlega, colpendo a destra e a sinistra, l'Uefa come i club secessionisti. Il sunto, «non è sport se non c'è rapporto tra sforzo e successo, tra sforzo e ricompensa, se il successo è garantito a prescindere e non importa se perdi», tocca il tema del merito, della conquista sul campo, che più di tutti altri dovrebbe agitare le vite degli appassionati di calcio, molto più rispetto alla brama di denaro che del resto non è che un'estensione dei motivi per cui la medesima Premier League, ora scandalizzata in 14 dei suoi 20 membri, nacque 29 anni fa. Coraggioso Guardiola, come Jürgen Klopp 24 ore prima, perché i rispettivi club sono membri fondatori ed entusiasti della Superlega: magari il coraggio di chi ha le spalle coperte e potrebbe vivere nel lusso per il resto della vita anche smettendo di lavorare domani, ma comunque un passo in più rispetto a chi è stato zitto.

L'allenatore del Manchester City è però addirittura coerente: tre mesi fa, stuzzicato sul progetto della Superlega, aveva auspicato la riduzione del numero di club di Premier League, e non solo, per «proteggere il campionato. Meno squadre per avere più qualità: se proprio va fatta la Superlega dobbiamo fare in modo che i tornei nazionali e le serie minori vengano salvaguardate, diminuendo le partite per preservare il livello e la salute dei giocatori. A me piace giocare contro il Real Madrid, la Juventus, il Barcellona, ma anche contro il Burnley, il Leicester City, il Brighton, e non voglio che si perda il significato di giocare in Coppa d'Inghilterra e Coppa di Lega». Ai tempi aveva ammesso di non aver letto con attenzione l'opuscoletto - 18 pagine - con il progetto della Superlega, ma aveva messo le mani avanti in quel modo. Ora, le mani le ha utilizzate per uno schiaffone, sincero o di maniera che sia.

E il suo capitano l'ha seguito. Perché Kevin De Bruyne non ha usato dribbling per dire no alla Super Lega. «Quest'uomo arriva da una piccola città del Belgio sognando di giocare al livello più alto possibile. Ho rappresentato il campionato belga, tedesco e inglese. E ho anche rappresentato con orgoglio il mio paese. Ho lavorato e gareggiato contro tutti coloro che cercavano di vincere il massimo. Ma la parola più importante in questo è competere». Sono le parole senza possibili errori di interpretazione del centrocampista belga del Manchester City. «Con tutti gli eventi che si sono verificati negli ultimi giorni, forse questo è il momento giusto per riunirsi e provare a lavorare per una soluzione. Sappiamo che questo è un grande business e so di far parte di questo business.

Ma sono ancora un ragazzino che adora giocare a calcio. Non si tratta di una certa entità in questo caso, si tratta del calcio in tutto il mondo. Continuiamo a ispirare la prossima generazione di calciatori e facciamo sognare i fan».

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