Da delusione a uomo in più, Ramon Diaz compie sessant'anni

Il compleanno di un'icona del calcio anni '80. Dalla delusione di Napoli allo scudetto da protagonista con l'Inter dei record del Trap, passando per il riscatto ad Avellino e la parentesi con la Fiorentina

Da delusione a uomo in più, Ramon Diaz compie sessant'anni

Centravanti dell’Inter dei record del Trap, icona della Serie A degli anni ’80: Ramon Diaz compie sessant’anni. In Italia l’ex campione argentino ha giocato per sette stagioni e ha vestito la maglia di quattro squadre quelle del Napoli, quindi dell’Avellino, poi della Fiorentina e infine dei nerazzurri.

Arrivò dal River Plate: nella squadra dei millionarios s’era messo in luce segnando quasi sessanta gol in 123 partite. Si era imposto all’attenzione del grande pubblico perché, insieme a Diego Armando Maradona, aveva fatto sfracelli con la nazionale giovanile. Si guadagnò, così, la convocazione ai mondiali dell’82 e giocò, tra le altre, la partita contro l’Italia (poi persa per 2-1) e quella contro il Brasile di Zico e Falcao in cui, all’89esimo, segnò il gol della bandiera per gli argentini, battuti 3-1 dai carioca.

Il suo arrivo, nell’estate del ’82, fece sognare Napoli. Ma la stagione 1982-83 si tramutò in un incubo. La squadra non girava, Diaz s’incupì e mise a segno solo tre gol in 25 partite, mentre il Napoli riuscì ad acciuffare la salvezza finendo a pari punti con l’Avellino. E proprio in Irpinia finì Diaz, l’anno dopo, a smaltire la cocente delusione azzurra. In provincia fu accolto come un re: la sola notizia del suo arrivo indusse migliaia di tifosi a sottoscrivere l’abbonamento allo stadio. In biancoverde Diaz rimase fino al 1986. Ritrovandosi e scrivendo alcune delle pagine più gloriose della storia calcistica avellinese. Passò quindi alla Fiorentina, pezzo pregiato del mercato dei viola: dieci miliardi. In Toscana Diaz tiene a battesimo il talento purissimo di un allora giovanissimo Roberto Baggio. Gioca quasi sessanta partite ma segna "solo" 17 reti.

Nell’estate del 1988 passa in prestito all’Inter. Ernesto Pellegrini, allora patron nerazzurro, voleva ingaggiare Rabah Madjer, talento funambolico algerino soprannominato il “Tacco di Allah”. Lo chiamavano così perché, proprio colpendo la palla con il tallone, pareggiò la finale di Coppa dei Campioni tra il suo Porto e la corazzata bavarese del Bayern Monaco. Al Prater di Vienna, nell’87, la vittoria andò ai lusitani perché, dopo il pareggio dell’algerino arrivò la rete di un’altra vecchia conoscenza del calcio italiano, il brasiliano Juary.

Però i medici interisti riscontrarono a Madjer guai muscolari e, poiché l’Inter aveva già dovuto fare i conti con le noie e gli infortuni, a Milano si decise di soprassedere sull’ingaggio. In fretta e furia arrivò Diaz, un "usato sicuro" ritenuto che diversi osservatori ritenevano già bollito.

Con la maglia nerazzurra, invece, Ramon Diaz si riscatterà alla grande. Con dodici gol e una grande intesa col capocannoniere della squadra, Aldo Serena, l’Inter conquista lo scudetto che mancava alla sponda nerazzurra di Milano da quasi dieci anni, dai tempi di Eugenio Bersellini.

A Diaz, però, nemmeno il tempo di esultare: viene subito ceduto per far spazio a Jurgen Klinsmann. Lui proseguirà la carriera col Monaco e, dopo aver predicato calcio nel Giappone dei primi anni '90, tornerà al suo River Plate, che poi guiderà anche da allenatore, per ben due volte.

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