È un derby senza "core". Ma Roma a porte chiuse si scalda per lo stadio

Prima sfida tra Lazio e Roma senza pubblico. E tra le due è battaglia anche per il Flaminio

È un derby senza "core". Ma Roma a porte chiuse si scalda per lo stadio

Roma. Ci sono stati derby capitolini rinviati, sospesi, giocati di notte o all'ora di pranzo, di lunedì e persino alle 18 (l'ultimo in ordine di tempo un anno fa quando ancora non si era affacciata la pandemia). Ma quello di stasera, tra il solito campanilismo e i sogni d'alta classifica, sarà inedito: in campo di venerdì e senza pubblico, dunque senza l'«anima» della stracittadina. Olimpico e soprattutto Curve vuote, niente coreografie, tifo e sfottò. Solo un po' di timore delle forze dell'ordine per possibili assembramenti fuori dallo stadio, visto che i supporter delle due squadre potrebbero «scortare» i pullman dei giocatori.

Il trend degli ultimi 15 derby è nettamente a favore della Roma: solo due sconfitte, ben sette successi e 6 pareggi, gli ultimi due nelle sfide dell'ultimo campionato. E poi c'è il -6 in classifica della Lazio («la differenza è che noi abbiamo fatto la Champions», ha sottolineato ieri Simone Inzaghi). Oltre alla sfida (che arriva alla 18ª giornata dopo sei anni) tra le due squadre - con Fonseca che ha messo l'accento su «aggressività e ambizione, ingredienti per poter vincere il derby» -, e al duello tra bomber (Immobile, già 11 gol, e Dzeko, fermo a 7), c'è quella tra i presidenti. Dan Friedkin è alla sua prima stracittadina da patron della Roma, 5 mesi dopo il suo approdo a Trigoria. Il collega della Lazio Claudio Lotito avrà di fronte il terzo presidente americano dei giallorossi, dopo Di Benedetto e Pallotta. Il magnate di Houston ha fatto parlare i fatti - in pochi conoscono infatti la sua voce -: un aumento di capitale (passato da 150 a 210 milioni), i risultati del campo per ora soddisfacenti (la facile qualificazione in Europa League e un bel 3° posto in campionato), oltre a una rivoluzione soft nell'entourage giallorosso. L'imprenditore romano, in sella da 16 anni, si differenzia per la loquacità, spesso con esternazioni anche sopra le righe. Ieri risposta piccata al commissario Arcuri («Spero che vinca la Roma, miglioreremmo il nostro umore»): «Battuta infelice, ha altre priorità per migliorare l'umore degli italiani».

Il dato comune è che sia Friedkin che Lotito non delegano, ma decidono in prima persona: si spiegano così le scelte dei dirigenti dell'area tecnica, nella Lazio l'albanese Igli Tare, nella Roma il portoghese appena sbarcato in Italia Tiago Pinto. Sullo sfondo c'è anche la questione stadio di proprietà e un impianto da tempo abbandonato, ma che farebbe gola a entrambi: il Flaminio. Con il progetto Tor di Valle impantanato, a Friedkin stuzzica l'idea di uno stadio in città con vista sulla necropoli. Anche se le meraviglie nascoste nel sottosuolo della Capitale potrebbero essere un intoppo a un eventuale progetto di parcheggi sotto l'impianto. La Lazio ritiene la struttura (che chiuse i battenti dopo aver ospitato perfino il Sei Nazioni di rugby) perfetta per giocare a calcio.

I paletti della Soprintendenza e i costi per la ristrutturazione semplicemente «conservativa» - oltre sei milioni di euro - ha finora

bloccato l'ambiziosa idea dei club romani. Il sindaco Raggi ha confermato di aver ricevuto richieste dai tifosi biancocelesti e di essere pronta a discutere con la nuova proprietà sull'argomento. Ma le elezioni sono vicine...

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