"Dybala non è un eroe, la sua una scelta logica"

L'ex iridato: "Tra A e Arabia non c'è paragone. Africa e Sud America: i campioni nascono lì, dove giocano più bimbi"

"Dybala non è un eroe, la sua una scelta logica"

Dino Zoff ha oggi 82 anni. È stato uno dei più grandi portieri della storia del calcio. A 40 anni ha guidato l'Italia alla conquista del suo terzo campionato mondiale. Poi ha fatto l'allenatore. Ora osserva.

Sia sincero: se ai suoi tempi le avessero offerto più o meno 150 miliardi di lire per andare a fare il portiere in qualche paese arabo che avrebbe risposto?

«Mah, dirlo oggi, dal momento che ai miei tempi questa possibilità non c'era, può sembrare un po' da saccente. Però non credo che avrei accettato: io ho sempre pensato che quello che conta è giocare in un campionato importante e con una squadra importante. Per me erano quelle le cose da considerare. Ho sempre cercato di giocare in squadre forti e ci sono riuscito. I soldi venivano dopo. Poi, come faccio a giurarlo? A me tutti quei soldi lì non li hanno mai offerti».

La scelta di Dybala?

«È stata una scelta. Punto. Ha calcolato costi e benefici. Lui sta molto bene a Roma, è in un campionato molto importante. La trovo una scelta logica».

Dicono che siano state la madre e la moglie a convincerlo. Sarà così?

«Questo francamente non lo so. Se vivi in un ambiente come quello di Dybala è più facile prendere queste decisioni».

Quindi non è il caso di farne un eroe?

«No. Se un giocatore di classe deve scegliere su basi calcistiche, tra serie A e campionati arabi non c'è paragone».

La sua scelta di rinunciare ai miliardi può essere un messaggio ai giovani?

«No, non credo che sia un messaggio».

Che tipo di giocatore è Dybala. Ricorda Sivori?

«Sivori era Sivori. Un pezzo unico. Ci ho giocato contro e insieme. L'ho conosciuto bene. Non farei paragoni. Sono passati tanti anni. Sivori era un asso».

E Dybala?

«È un grande giocatore».

Lei da allenatore lo avrebbe voluto in squadra?

«Avere in squadra giocatori di quel livello fa sempre piacere».

Ai suoi tempi i campioni di primissima fascia quanto guadagnavano?

«Si guadagnava bene. Non ci possiamo mica lamentare. Poi i prezzi sono saliti in modo astronomico. Si sa».

Oggi in Europa i giocatori di primissima fascia guadagnano 10-20 milioni all'anno e in Arabia anche tre o quattro volte di più. Sono stipendi fuori della logica?

«Le logiche le dà il mercato. Se uno paga certe cifre vuol dire che il mercato chiede questo».

Perché l'Italia non riesce più a produrre vivai all'altezza?

«Perché rispetto ai decenni passati ci sono molti meno bambini che giocano. E se ci sono meno bambini la selezione è più ristretta. Se pochi bambini giocano a pallone si producono meno campioni».

E in Italia è così?

«Sì. Da dove vengono oggi i nuovi campioni? Africa e Sud America. Perché lì i bimbi che giocano sono sempre di più».

Dipende da una questione demografica?

«Beh, non solo demografica. Anche sociale, culturale. In molte famiglie si preferisce far fare ai figli altri sport. I ragazzini al campetto col pallone di cuoio non ci vanno più».

L'Italia fuori dei mondiali. Eliminati subito agli europei. Cosa manca: i giocatori o il gioco?

«Sta storia del gioco io non l'ho mai capita. Il gioco devi farlo secondo i giocatori che hai. Non c'è un gioco. Ci sono tanti giochi. E per farli bene devi avere giocatori bravi. Per farli molto bene devi avere giocatori molto bravi. Se hai una rosa molto buona è abbastanza facile vincere. Sennò, no».

Non era una gran rosa

«No, non dico questo. Dico che non eravamo grandi, e quindi è più facile perdere».

Cosa deve cambiare per tornare ad avere una nazionale al top nel mondo?

«Devono emergere dei giovani molto forti».

Dicono che ce li abbiamo ma non li facciamo giocare e preferiamo gli stranieri.

«Ma non è vero, se viene fuori un giocatore bravo davvero, chiunque lo fa giocare. Tu credi che una società che ha un giocatore giovane, che vale, non fa di tutto per farlo emergere? Ci guadagna in prestigio, in punti in classifica e in soldi».

Le sue due grandi sconfitte: quel gol da Haan nel 1978, che escluse l'Italia dalla finale dei mondiali, e la sconfitta con la Francia agli Europei, da allenatore. Le hanno lasciato delle ferite o ha metabolizzato?

«No, io ho una filosofia: si passa oltre. E si pensa: in quella situazione non ero in condizione di far meglio. Semplice».

Quando guarda il calcio si diverte o è meno appassionante di una volta?

«No, no, lo seguo. Mi piace. Poi certe cose mi piacciono meno. Il Var, l'eccessivo intervento degli arbitri. Si va per terra solo perché ti sfiorano».

Una volta aveva un peso maggiore essere la bandiera della propria squadra?

«No, non è mai stato così».

Però era più difficile togliersi la maglia del Milan per andare all'Inter

«No si è sempre fatto. Ricordo il vecchio Lorenzo Buffon che nei primi anni Sessanta passò dal Milan all'Inter. E poi tanti dalla Roma alla Lazio, anche giocatori bandiera».

Soddisfazione più grande?

«Il mondiale. Quando vinci il mondiale da capitano, a quarant'anni, e fermi l'Argentina, e batti il Brasile e la Germania».

Ha un record a cui tiene?

«Sono l'unico calciatore italiano che ha vinto sia il mondiale che l'Europeo».

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